L’ennesima tragedia all’interno del sistema carcerario italiano, con il suicidio di un detenuto di 48 anni nel carcere di Torino Lorusso e Cutugno, solleva interrogativi profondi e urgenti che vanno ben oltre il semplice cordoglio.
L’evento, che coinvolge un padiglione affollato con circa 150 persone, rappresenta una sconfitta irreparabile non solo per la famiglia del defunto, ma soprattutto per lo Stato, per il principio di legalità e per l’intera comunità.
Un atto di disperazione che evidenzia, con crudezza, le criticità strutturali e i vuoti assistenziali che affliggono le nostre strutture detentive.
Il segretario generale del sindacato Osapp, Leo Beneduci, sottolinea come un simile evento incida direttamente sulla fiducia che i cittadini ripongono nelle istituzioni, vanificando gli sforzi e il profondo senso di dedizione dimostrato quotidianamente da migliaia di agenti di polizia penitenziaria, spesso costretti a operare in condizioni di estrema difficoltà.
La loro professionalità e il loro sacrificio vengono messi a dura prova da una realtà che li vede insufficientemente supportati e attrezzati.
L’analisi del sindacato evidenzia una carenza di personale particolarmente acuta durante il turno notturno, quando la sorveglianza è cruciale.
La necessità di distaccare un agente per un servizio esterno, riducendo ulteriormente la presenza all’interno dell’istituto, rende quasi impossibile garantire un monitoraggio costante e un intervento tempestivo in situazioni di emergenza.
Questa problematica, purtroppo, non è un’eccezione, ma una conseguenza diretta di una politica di gestione delle risorse che sacrifica la sicurezza a discapito dell’efficacia del servizio.
Le accuse rivolte alle istituzioni penitenziarie nazionali e regionali sono pesanti: carenza cronica di personale, insufficiente dotazione di mezzi e una disorganizzazione che mina la capacità del corpo di polizia penitenziaria di svolgere appieno le proprie funzioni, in particolare la fondamentale prevenzione dei suicidi.
Non si tratta solo di una questione di numeri, ma di una carenza di visione e di investimento in un sistema di supporto psicologico e sociale che possa realmente offrire ai detenuti una via d’uscita dalla disperazione.
La tragedia di Torino deve costituire un punto di svolta, un campanello d’allarme inequivocabile.
È imperativo che le istituzioni si assumano la responsabilità di affrontare le criticità del sistema carcerario, non con proclami e promesse vaghe, ma con azioni concrete e risorse adeguate.
Serve un piano strategico che preveda un aumento del personale, una formazione specifica per gli agenti in materia di gestione delle crisi e un rafforzamento dei servizi di assistenza psicologica e sociale, finalizzati a promuovere la riabilitazione e il reinserimento dei detenuti nella società.
La dignità umana, anche quella di chi ha commesso un errore, deve essere sempre al centro di ogni decisione e azione.
Il silenzio e l’inerzia non sono più accettabili.








