L’azione di blocco delle università torinesi, condotta dal Collettivo Autorganizzato Universitario (Cau), si configura come una risposta diretta e simbolica all’interruzione della Global Sumud Flotilla da parte delle autorità israeliane.
Il gesto, che ha visto l’occupazione di Palazzo Nuovo, cuore delle facoltà umanistiche, trascende la mera protesta studentesca, elevandosi a manifestazione di solidarietà e denuncia verso un sistema percepito come profondamente ingiusto.
Gli studenti, in un comunicato incisivo, esprimono un profondo sdegno verso la catastrofe umanitaria in corso a Gaza, causata, a loro avviso, dalle politiche governative israeliane.
L’accusa rivolta alle istituzioni italiane, dal governo Meloni alle università, non è di semplice indifferenza, bensì di complicità attiva in crimini di cui si ritengono colpevoli le forze israeliane.
Si denuncia un silenzio assordante e una passività che, di fatto, legittimano la prosecuzione di una situazione di grave violazione dei diritti umani.
L’azione di blocco delle università non è concepita come un episodio isolato, ma come un atto di continuità con le mobilitazioni delle settimane precedenti.
La Global Sumud Flotilla, con il suo tentativo di spezzare l’assedio di Gaza, ha rappresentato, secondo i manifestanti, un faro di speranza, un segnale chiaro di sfida contro l’ipocrisia e l’inerzia delle istituzioni occidentali.
L’interruzione forzata della flotta ha, al contrario, rivelato come i meccanismi di potere si riorganizzino e si compattino di fronte a qualsiasi tentativo di sovvertire lo status quo.
Gli studenti si auto-definiscono “equipaggio di terra”, un’immagine potente che li colloca in una posizione di supporto e solidarietà verso coloro che si trovavano a bordo della flotta, ora a rischio di arresto o, in scenari più drammatici, di perdita della vita.
Il loro compito, affermano, è proseguire la battaglia laddove l’azione diretta dei marittimi è momentaneamente sospesa.
L’occupazione delle università è quindi un atto di continuità, una forma di resistenza attiva che mira a mantenere viva l’attenzione pubblica sulla crisi umanitaria di Gaza e a sollecitare un cambio di rotta nelle politiche internazionali.
Si tratta di una ribellione etica, alimentata dalla convinzione che la responsabilità delle nuove generazioni sia quella di contestare le ingiustizie e di agire concretamente per la costruzione di un mondo più equo e pacifico.
L’occupazione universitaria, in questo contesto, si configura come un atto politico di profonda risonanza simbolica, un grido di allarme che reclama giustizia e solidarietà per la popolazione palestinese.