
Nel corso di un’udienza svoltasi presso il Tribunale di Vercelli, la Procura della Repubblica, rappresentata dal Pubblico Ministero Mariaserena Iozzo, ha formulato una richiesta di condanna nei confronti di Paolo Dantone, 50 anni, residente a Crescentino.
L’imputato è accusato di incendio doloso premeditato, consumatosi il 27 dicembre 2022, e finalizzato a estorcere un trasferimento d’ufficio al Maresciallo Gesualdo Marrapodi, all’epoca Vice Comandante della Stazione Carabinieri di Crescentino.
La vicenda si radica in una complessa rete di rancori e presunte vendette, che hanno portato alla distruzione dell’autovettura di Marrapodi, un evento che ha innescato un’indagine articolata e un processo denso di implicazioni.
Dantone, difeso dall’Avvocato Antonio Mencobello, ha contestato con forza le accuse, sostenendo che le prove a suo carico siano insufficienti e si basino su mere congetture investigative.
Il Maresciallo Marrapodi, affiancato dall’Avvocato Patrizio Cavallone, ha testimoniato in dettaglio la dinamica degli eventi, descrivendo di aver assistito, rientrando dalla pausa pasto, all’incendio della sua Opel Astra, parcheggiata nel cortile della caserma.
Nonostante l’intervento tempestivo dei vigili del fuoco e di alcuni militari, l’auto è stata completamente distrutta.
L’architettura investigativa, orchestrata dai Carabinieri del Reparto Operativo di Vercelli, ha fatto ampio ricorso a strumenti di acquisizione probatoria, tra cui intercettazioni telefoniche e ambientali, condotte su diverse auto e su individui connessi a Dantone.
Elemento chiave è emerso dal riscontro della presenza della Hyundai Tucson di proprietà dell’imputato nelle immediate vicinanze della caserma nella serata dell’incendio.
Le intercettazioni hanno rivelato un quadro allarmante, con Dantone che avrebbe espresso commenti sull’evento incendiario precedenti alla diffusione della notizia da parte dei media, circostanza interpretata come prova di premeditazione.
Ancora più grave è l’emersione di dialoghi che delineano un disegno vendicativo nei confronti di Marrapodi e del Brigadiere Massimo Serratì, definito “braccio operativo” della caserma.
Questi dialoghi includono minacce esplicite di atti di sabotaggio, come l’incendio dell’auto di Serratì in condizioni di scarsa visibilità, e suggestioni di violenza estrema, che vanno dalla mobilitazione di individui armati su motocicli all’ipotesi di investimento mortale con un camion, espressa da un parente intercettato.
La genesi di questo clima di ostilità è stata esplicitata in aula dall’ex Comandante Provinciale dei Carabinieri, il Colonnello Emanuele Caminada, che ha spiegato come Dantone intendesse sfruttare le procedure di trasferimento previste dall’Arma, spesso applicate nelle regioni meridionali in situazioni di pericolo, per costringere Marrapodi a lasciare la sua posizione, a seguito di precedenti indagini condotte da quest’ultimo e Serratì nei confronti di Dantone per furto di attrezzature.
Attualmente, Paolo Dantone si trova in stato di detenzione per altri reati, mentre la sentenza definitiva è prevista per il 24 novembre, e rappresenta un momento cruciale per stabilire la responsabilità dell’imputato e la veridicità delle accuse mosse.
Il processo solleva interrogativi importanti sulla gestione dei conflitti, sulla protezione delle persone vulnerabili e sull’uso di strumenti investigativi complessi per fare luce su dinamiche criminali radicate.




