Scontro al Comune: Revoca Perfetto, un dramma politico e un messaggio velato.

La tensione era palpabile, un’aria densa di aspettative e calcoli politici.
La proposta di revoca di Alfonso Perfetto dalla presidenza del Consiglio Comunale non era solo una questione di leadership, ma un barometro della tenuta stessa della maggioranza guidata dal sindaco Claudio Castello.

Le parole iniziali, una riflessione amara e quasi provocatoria, risuonavano nell’aula: “Sapete cosa dovrei fare? Lasciarli discutere, votare, e dopo che la richiesta di revoca della mia carica di presidente del Consiglio Comunale sarà bocciata (perché certo, andrà a finire così) dovrei alzarmi in piedi e lanciare le mie dimissioni sul tavolo del sindaco”.

Un gesto simbolico, quasi una resa, ma poi? Perché quel gesto non veniva compiuto?L’aula di Palazzo Santa Chiara si presentava come un palcoscenico di un dramma politico.
In apertura, il sindaco Castello pronunciò un discorso che trascendeva la mera cronaca amministrativa, evocando parallelismi con eventi passati, con l’eco di polemiche e battute sarcastiche rivolte al presidente Perfetto, paragonandolo a figure storiche improbabili e richiamando l’onnipresente spirito di “osteria” che sembra permeare la politica locale.
Era un tentativo, forse, di alleggerire la pressione, di stemperare il clima con un sorriso amaro.
Tuttavia, la salvezza di Perfetto, ottenuta grazie alla presenza in aula dei dissidenti Peroglio, Barengo e Vera Cena, svelava una dinamica più complessa.

La loro scelta, apparentemente fedele al partito, celava un messaggio velato: un “Io non sono come voi”, un segnale di spaccature interne al PD, di correnti in competizione per il potere.

L’intervento di Cristina Peroglio fu una lezione di diplomazia e di autocritica.

L’ex capogruppo del PD, con un’eleganza pungente, espresse il suo rammarico per il clima istituzionale, ma allo stesso tempo, sollevò un interrogativo cruciale: perché chi aveva proposto un’alternativa in passato, non aveva cercato vie d’uscita quando la proposta era stata respinta? La sua riflessione non era una difesa di Perfetto, ma una denuncia del danno inflitto alle istituzioni, della compromissione della figura del presidente come garante dell’equilibrio.

La questione non era solo la revoca di un presidente, ma la necessità di comprendere le motivazioni profonde di chi aveva cercato di contrastare la corrente.

La scelta di appoggiare la proposta di revoca sarebbe apparsa come un atto di vendetta, un gesto inaccettabile per chi aspirava alla responsabilità e al rispetto delle persone.

La facile via della delega, l’abbandono dei propri alleati, non erano coerenti con i valori che la guidavano.

L’aula si confrontò quindi con una scelta tra pragmatico opportunismo e solido senso di responsabilità, tra il facile gesto di delega e il coraggio di sostenere i propri principi.

La decisione finale di Perfetto di restare al suo posto, un atto che andava oltre la semplice logica politica, era una dichiarazione di intenti: un impegno a preservare la stabilità delle istituzioni e a difendere la dignità delle persone coinvolte.

Mentre il Consiglio Comunale si concludeva con un clima surreale, tra manifestazioni di protesta e frecciatine politicane, una domanda persisteva: cosa significa veramente fare politica? E qual è il costo della ricerca del potere a tutti i livelli? La risposta, forse, si trovava nella consapevolezza che la vera leadership non risiede nella capacità di manipolare gli eventi, ma nella capacità di ispirare fiducia e di difendere i valori che ci guidano, anche quando la tempesta si fa più violenta.

- pubblicità -
- pubblicità -
- Pubblicità -
- pubblicità -
Sitemap