Il rapporto con mio padre, Giulio, si è sempre nutrito di un’affinità profonda, un legame in cui la mia esistenza si è trovata immersa in un contesto culturale ineguagliabile. La nostra casa era un crocevia di menti brillanti, un palcoscenico per conversazioni stimolanti con figure emblematiche come Italo Calvino, Natalia Ginzburg, Elsa Morante e Primo Levi. Mio padre, tuttavia, non incarnava l’intellettuale nel senso stretto del termine; piuttosto, assorbiva l’ingegno altrui, distillandone l’essenza per riversarla in un’estetica personale, in un amore incondizionato per i dettagli della vita.Non era un teorico, ma un contemplativo appassionato, un uomo che trovava bellezza nella potatura di una rosa, nel paesaggio che si rivelava durante un viaggio, nella semplice contemplazione di ciò che era autenticamente bello. Possedeva un’eleganza innata, un’eccentricità disarmante, una cura per il dettaglio che si manifestava in ogni gesto. Eppure, esisteva una distanza significativa: la musica. Un abisso, come lo definirei, che ci separava. Giulio non comprendeva la musica, non la percepiva, la sentiva come un enigma irrisolvibile.Ludovico Einaudi, in un incontro al Festival della Tv di Dogliani, rievocando la figura paterna, sottolinea questa dicotomia. Il padre, ancorato alla concretezza, al tangibile, mentre lui, musicista, si muove in un regno di astrazioni sonore. Eppure, paradossalmente, è la musica che gli ha offerto una chiave per la concretezza, un modo per connettersi con se stesso e con il suo pubblico, un ponte verso l’umanità condivisa. La musica, in realtà, affonda le sue radici nel lato materno della famiglia: la madre, pianista dal tocco delicatissimo, il nonno, direttore d’orchestra e compositore, figure che hanno segnato profondamente la sua storia.Riflettendo sulla scena musicale contemporanea, Einaudi esprime una certa perplessità, una difficoltà a trovare un punto di contatto con le nuove generazioni di artisti. Un senso di uniformità, di ripetitività, lo porta a rifiutare spesso proposte di collaborazione. Nonostante ciò, rivela un’inaspettata apertura, ammettendo di aver acquistato un biglietto per un concerto di Beyoncé a Parigi, un gesto che svela un desiderio di esplorazione, di apertura verso nuove esperienze.In un contesto globale segnato da conflitti e sofferenze, Einaudi evoca l’immagine di John Lennon, un simbolo universale di pace e speranza, un monito a coltivare l’umanità e la compassione. Rivolgendosi al pubblico di Dogliani, il musicista promette un concerto in un luogo suggestivo, un “bricco” da cui si può ammirare la maestosità delle montagne, un luogo caro alla sua infanzia, condiviso con il padre e gli zii, un teatro a cielo aperto dove si è assistito all’eclissi, un ricordo indelebile di momenti felici.Concludendo, Einaudi lancia un messaggio di speranza e incoraggiamento ai giovani: la perseveranza, la serietà e la pazienza sono i pilastri per la realizzazione personale, un credo che lo guida nella sua carriera e nella sua vita. Un’eredità paterna, forse, più che una semplice lezione musicale.