Allontanamenti minori: il racconto delicato dal Canavese

Quando la tutela dell’infanzia si confronta con la complessità familiare: il racconto del CanaveseIl recente caso di allontanamento di due minori nel Canavese ha riacceso il dibattito pubblico, alimentando polemiche e sollevando interrogativi cruciali sulla delicata questione della tutela dell’infanzia.
A far luce sulle procedure, le difficoltà e i rischi connessi a tali interventi, intercettiamo la voce di Carla Boggio, Presidente del Ciss 38, il consorzio intercomunale dei servizi sociali che gestisce il territorio canavesano.
L’allontanamento di un minore dal proprio nucleo familiare rappresenta l’ultima ratio, una decisione che si prende solo dopo un’attenta e complessa istruttoria, motivata da serie preoccupazioni per il benessere e la sicurezza del bambino.
È un atto che genera inevolmente dolore e reazioni emotive, spesso distorte dalla percezione esterna, che fatica a comprendere le dinamiche profonde che lo rendono necessario.

“È semplicissimo esprimere giudizi dall’esterno,” afferma Boggio, “ma chi non è immerso in queste realtà non può realmente capire la complessità delle situazioni che affrontiamo quotidianamente.
” Le assistenti sociali si trovano a operare in un contesto di grande responsabilità, spesso costrette a mantenere una distanza emotiva per garantire l’obiettività del loro lavoro.
Questa distanza, percepita come freddezza o scarsa accoglienza, è in realtà una condizione necessaria per poter valutare in modo razionale e imparziale le dinamiche familiari.
Il percorso che porta all’allontanamento è lungo e tortuoso.
Si avvia con una fase di indagine e valutazione, durante la quale le assistenti sociali raccolgono informazioni, effettuano colloqui con i genitori, i familiari, gli insegnanti e gli eventuali referenti del minore.
L’obiettivo primario è quello di offrire sostegno alla famiglia, fornendo aiuti concreti e opportunità di crescita personale, al fine di risolvere le problematiche che mettono a rischio il benessere del bambino.

Solo quando tutte le altre opzioni si rivelano inefficaci, e il pericolo è imminente, si ricorre alla sospensione della responsabilità genitoriale.
“Spesso ci troviamo a gestire casi particolarmente delicati, caratterizzati da dipendenze da alcol e droghe, violenza domestica, povertà estrema e problematiche di salute mentale,” spiega Boggio.

“In questi contesti, la priorità assoluta è proteggere il minore da situazioni di abuso e negligenza, garantendogli un ambiente sicuro e stabile.

“L’aumento delle tensioni e delle aggressioni nei confronti del personale del Ciss 38, culminato nell’introduzione di un servizio di vigilanza privata, testimonia il grado di emotività e di ostilità che circondano tali interventi.
Le minacce e gli insulti, spesso alimentati da pregiudizi e stereotipi, rendono ancora più difficile l’operato delle assistenti sociali, che si trovano a dover bilanciare la necessità di tutelare i minori con quella di garantire la sicurezza del proprio ambiente di lavoro.

L’episodio della madre triestina che ha ucciso il figlio durante un colloquio, riportato da Boggio, è un monito severo sulla fragilità dei minori e sull’importanza di un intervento tempestivo e adeguato.

“La paura dei bambini è spesso silenziosa, nascosta dietro un muro di omertà e vergogna,” conclude la Presidente.

“È solo attraverso una presenza diretta, un ascolto attento e una relazione di fiducia che possiamo cogliere i segnali di disagio e intervenire per offrire loro una via d’uscita.
” La complessità di questo lavoro richiede un’assunzione di responsabilità collettiva, un impegno a superare i pregiudizi e a sostenere chi, quotidianamente, si fa carico della tutela dei minori più vulnerabili.

Solo così potremo garantire loro un futuro degno di essere vissuto.

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