Nel grigio di un’epoca segnata dalla crescente frammentazione e dall’erosione del significato, risuonano le parole del vescovo Franco Giulio Brambilla, pronunciate con la delicatezza necessaria in un momento di profondo dolore. La cerimonia funebre di don Matteo Balzano, giovane sacerdote spento tragicamente, si è trasformata in un’occasione per interrogarsi sul senso della cura, non solo per l’anima del defunto, ma per l’anima stessa del nostro tempo.La notizia del suicidio di un uomo di fede, un pastore che si è spento nel silenzio della sua sofferenza, genera un’eco angosciante. Non si tratta semplicemente di una perdita individuale, ma di una ferita che si apre nel tessuto della comunità, invitandoci a riflettere sulle fragilità che si celano dietro le apparenze di stabilità e devozione. Il vescovo, con acume e compassione, sottolinea l’urgenza di una riappropriazione del senso, di un ritorno alla cura della dimensione interiore, che rischia di essere soffocata dal ritmo frenetico e dalla superficialità che caratterizzano la vita contemporanea.La perdita di una bussola interiore, la difficoltà di orientarsi in un mondo complesso e spesso disorientante, può portare a sentimenti di solitudine, di alienazione e di profonda disperazione. Brambilla esorta i sacerdoti, in particolare i più giovani, a non perdere di vista i valori fondamentali della fede e ad accompagnare le persone nel loro percorso di crescita spirituale, preparandole ad accogliere la luce della Pasqua, simbolo di rinascita e di speranza.Il ricordo di don Matteo, come espresso dai giovani dell’oratorio, evoca un’immagine potente e consolante: quella di un “arcobaleno dopo il temporale”, un faro di speranza che ha saputo ridare vita a un luogo di aggregazione e di crescita. Più che un semplice sacerdote, don Matteo è stato un amico, un confidente, un punto di riferimento per i ragazzi di Cannobio, capace di stimolare il loro pensiero critico e di accompagnarli nel loro percorso di crescita personale. Le loro parole, cariche di affetto e di gratitudine, testimoniano l’impatto profondo che un uomo di fede può avere sulla vita delle persone, soprattutto dei giovani.Il loro messaggio, “butta ogni tanto un occhio giù, ne avremo bisogno”, non è una chiusura nel dolore, ma un desiderio di continuità, una promessa di rimanere connessi, anche al di là della morte. È un’eco di speranza che risuona nel silenzio del dolore, un invito a non dimenticare il valore dell’amicizia, della solidarietà e della fede, come guida per affrontare le sfide del futuro. La perdita di don Matteo ci lascia con un vuoto incolmabile, ma anche con la responsabilità di onorare la sua memoria, continuando a coltivare i valori che ha incarnato e a diffondere un messaggio di speranza e di compassione in un mondo che ne ha tanto bisogno. Le sue parole, seppur poche, “dolce fratello, giovani orfani affranti, pianto infinito”, racchiudono un universo di sofferenza e di umanità che ci invita a una riflessione più profonda sul senso della vita e sulla necessità di prenderci cura gli uni degli altri.
Don Matteo, un’eco di fede e speranza nel grigio del tempo.
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