La questione della presenza del lupo in ambiente montano italiano, lungi dall’essere una mera problematica ecologica, si configura come un nodo cruciale che intreccia dinamiche economiche, sociali, ambientali e culturali, richiedendo un approccio gestionale complesso e flessibile. In un recente confronto congiunto delle Commissioni terza e quinta, presieduto da Claudio Sacchetto, una delegazione di esperti ha delineato un quadro delle sfide attuali e proposto strategie per un coesistenza più sostenibile tra l’uomo e il predatore.La delegazione, composta da figure istituzionali come Vittoria Riboni (Commissaria dell’Ente), accademici come Luca Maria Battaglini (professore dell’Università di Torino), rappresentanti degli enti locali come Lilia Garnier (assessore del Comune di Villar Pellice), e portavoce delle categorie produttive – Giovanni Dalmasso (Coordinamento pastori d’Italia), Marco Bruzzone (Agricoltori autonomi d’Italia) e Gesine Otten (Comitato salvaguardia allevatori Vco) – ha espresso la necessità di un intervento immediato per mitigare gli impatti negativi della crescente popolazione di lupi.Il punto centrale del dibattito ha riguardato la gestione demografica dei branchi. Mentre la salvaguardia della specie è un imperativo etico e legale, la sua proliferazione incontrollata sta generando crescenti conflitti con le attività antropiche, in particolare con l’allevamento ovino e caprino, pilastro fondamentale dell’economia montana. L’idea avanzata non è tanto una drastica riduzione indiscriminata, ma un controllo attivo della popolazione, limitando l’incremento annuale a una percentuale stabilita, in linea con le pratiche adottate in Francia, un modello di gestione che ha dimostrato una certa efficacia. Autorizzare un abbattimento annuo calibrato, pari a circa il 20% del potenziale incremento, si pone come misura temporanea per riequilibrare la situazione e prevenire danni sempre più gravi.Parallelamente alla gestione demografica, è emersa con forza la richiesta di rafforzare la capacità di autodifesa degli allevatori. Non si tratta di promuovere una caccia indiscriminata, ma di fornire strumenti e competenze per proteggere il bestiame, spesso lasciato al pascolo in aree remote e difficilmente controllabili. L’armamento controllato degli allevatori, accompagnato da adeguati corsi di formazione sulla gestione dei conflitti e sulla sicurezza, potrebbe rappresentare un deterrente efficace contro le predazioni.La lentezza delle procedure burocratiche e la difficoltà nell’ottenere risarcimenti adeguati rappresentano un ulteriore aggravio per gli allevatori, alimentando frustrazione e risentimento. È imprescindibile accelerare i tempi delle visite veterinarie, semplificare le procedure per la richiesta dei risarcimenti e garantire pagamenti tempestivi. I criteri di valutazione dei danni devono essere oggettivi e realistici, riflettendo la reale perdita economica subita dagli allevatori e riconoscendo il valore intrinseco dell’attività pastorale come elemento identitario e culturale del territorio montano.In conclusione, la gestione del lupo in Italia non può essere relegata a una questione di semplice controllo numerico. Richiede un approccio olistico che tenga conto delle esigenze di tutte le parti in gioco, promuovendo un dialogo costruttivo tra ambientalisti, allevatori, istituzioni e comunità locali. Solo attraverso un’azione concertata e un impegno condiviso sarà possibile trovare un equilibrio sostenibile che preservi sia la biodiversità che la vitalità delle aree montane.
Lupo in Montagna: Equilibri Fragili tra Uomo, Economia e Ambiente
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