Mohamed Shahin: Un’Ingiustizia e Interrogativi sulla Sicurezza Nazionale

La decisione della Corte d’Appello di Torino che ha disposto la cessazione del trattenimento di Mohamed Shahin nel CPR di Caltanissetta rappresenta non solo un atto di giustizia riparatrice per l’imam, ma solleva interrogativi profondi e inquietanti sulla gestione della sicurezza nazionale e sull’uso distorto del potere esecutivo.

Le accuse mosse, la decisione di espulsione e la successiva detenzione rappresentano una grave ferita alla reputazione di un individuo e un danno irreparabile al tessuto sociale, erodendo la fiducia dei cittadini nelle istituzioni.
La vicenda Shahin è un campanello d’allarme che denuncia come il concetto di sicurezza nazionale possa essere strumentalizzato per fini politici, generando sospetti ingiustificati e alimentando pregiudizi nei confronti di comunità religiose.

Il decreto ministeriale che ha portato all’espulsione si è rivelato fondato su presupposti fragili e informazioni lacunose, come ampiamente dimostrato dalla sentenza della Corte d’Appello.
L’archiviazione immediata delle indagini relative alle frasi “incriminate” e l’accertamento della condotta pacifica durante il blocco stradale del maggio 2025, fattispecie che non configuravano reato, dimostrano l’inconsistenza delle accuse iniziali.

È particolarmente preoccupante il tentativo di velare le indagini con la segretezza, un’opacità che ha ostacolato la trasparenza e alimentato le speculazioni.

Se la reale situazione processuale fosse stata resa pubblica fin da subito, l’intera vicenda si sarebbe svolta in modo profondamente diverso, evitando un’ingiusta privazione della libertà personale e un clima di tensione sociale.

La vicenda non si esaurisce con la liberazione di Shahin. È necessario che il governo, in particolare il Ministro Piantedosi, assuma la responsabilità politica delle proprie azioni.
Un gesto di scuse pubbliche, accompagnato dal ritiro formale del decreto di espulsione, sarebbe un segnale concreto di volontà di cambiamento.
Tuttavia, la questione centrale rimane la necessità di una profonda riflessione sul ruolo delle istituzioni e sulla tutela dei diritti fondamentali.

Non si può consentire che la sicurezza nazionale diventi un pretesto per limitare le libertà individuali e per discriminare intere comunità.

È imperativo garantire la trasparenza, promuovere il dialogo interculturale e proteggere il diritto alla giustizia, assicurando che ogni cittadino, indipendentemente dalla sua origine o fede religiosa, possa vivere in un clima di rispetto e legalità.
La liberazione di Shahin non deve essere considerata un punto di arrivo, ma un punto di partenza per un percorso di risanamento e di riconciliazione.

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