La questione della sicurezza e della convivenza civile negli stadi non è un mero problema sportivo, ma un riflesso amplificato delle complessità sociali che permeano la nostra nazione.
Le recenti, inaccettabili aggressioni al pullman della squadra di Pistoia, come giustamente sottolineato, non definiscono l’essenza del basket, né di alcun altro sport, bensì rivelano una frattura più profonda, un deficit di educazione civica e di rispetto che affligge ampie fasce della popolazione.
La risposta del Ministro Abodi, un invito esplicito all’esclusione per chi non rispetta le regole, rappresenta un segnale forte, ma non sufficiente.
È cruciale comprendere che la violenza, in ogni sua forma, non nasce nello stadio, ma si radica in un terreno di disuguaglianze, frustrazioni e mancanza di modelli positivi.
L’educazione al rispetto, non solo delle regole del gioco, ma delle persone e delle istituzioni, deve essere un impegno trasversale, che coinvolga famiglia, scuola, media e associazioni sportive.
Non si tratta di demonizzare i tifosi, ma di promuovere una cultura del dialogo, dell’inclusione e della responsabilità individuale.
Un aspetto fondamentale, spesso trascurato, è il ruolo degli arbitri.
Sono figure spesso bersaglio di improperi e contestazioni, ma rappresentano, in ultima analisi, un garante dell’equità e della correttezza.
Il loro compito non è esente da difficoltà e pressioni, e riconoscere queste difficoltà è un atto di maturità e rispetto, soprattutto da parte di chi dovrebbe essere un esempio di sportività.
Anche i genitori e i nonni, spettatori attivi e appassionati, devono assumersi la responsabilità di trasmettere ai giovani un comportamento corretto e rispettoso.
La sicurezza degli stadi non può essere garantita solo con misure repressive, ma soprattutto con un cambiamento culturale profondo.
È necessario investire in programmi di prevenzione, promuovere l’educazione alla legalità e rafforzare il dialogo tra le istituzioni, le società sportive e le comunità locali.
Solo così potremo restituire allo sport il suo vero valore: un momento di aggregazione, di divertimento e di crescita civile.
L’esclusione dagli stadi, pur necessaria in alcuni casi, deve essere vista come un’ultima ratio, un campanello d’allarme che ci invita a riflettere sulla nostra società e a costruire un futuro più giusto e pacifico per tutti.
L’obiettivo non è creare una società di “tifosi perfetti”, ma di cittadini responsabili e rispettosi delle regole, dentro e fuori dallo stadio.







