La scomparsa di Andrea Papi, tragicamente strappato alla vita nell’aprile del 2023 nella valle di Sole, in Trentino, ha scatenato un acceso dibattito che trascende il lutto familiare, sollevando questioni complesse di gestione della fauna selvatica, responsabilità istituzionali e sicurezza pubblica.
I genitori di Andrea, Carlo e Franca Papi, con la dignità e il dolore che li contraddistinguono, esprimono la loro profonda amarezza per una giustizia percepita come mancata, rifiutando categoricamente l’idea che l’evento possa essere attribuito a una fatalità inevitabile o a una forza naturale incontrollabile.
La loro affermazione – “Noi non abbiamo mai chiesto l’abbattimento dell’orsa” – è un monito contro semplificazioni retoriche che offuscano la radice del problema: la gestione inadeguata di un animale, l’orsa Jj4, le cui caratteristiche comportamentali presentavano un rischio intrinseco.
Non si tratta di animare l’orso con una malvagità innata, ma di riconoscere che la sua presenza, in un contesto di crescente prossimità con l’uomo, richiedeva precauzioni più rigorose.
Le 67 incursioni documentate di Jj4, quando ancora era libera, costituiscono un quadro inquietante, una serie di segnali d’allarme ignorati o minimizzati.
La consapevolezza del suo potenziale pericolo, implicita in quegli eventi, sembra non aver tradotto in misure di prevenzione proporzionate, lasciando la comunità esposta a un rischio elevato.
L’attualizzazione del trasferimento di Jj4 all’Alternative Wolf and Bear Park in Germania, sottolinea, con amara ironia, la distanza tra le azioni intraprese *ex post* e le misure che avrebbero potuto evitare la tragedia.
I Papi contestano con forza l’attribuzione di responsabilità altrui, rifiutando l’etichetta di “incuria” come un mero trasferimento di colpa.
Il loro appello alla riapertura del caso non è una ricerca di vendetta, ma una richiesta di verità e di un’indagine approfondita che chiarisca le decisioni prese, i protocolli seguiti e le eventuali negligenze che hanno contribuito alla morte di Andrea.
La vicenda solleva interrogativi cruciali sulla coesistenza tra uomo e fauna selvatica in un territorio alpino sempre più antropizzato.
La gestione di animali potenzialmente pericolosi non può essere relegata a un mero esercizio burocratico, ma richiede un approccio multidisciplinare che integri competenze biologiche, ecologiche, giuridiche e sociali.
È necessario un cambio di paradigma che ponga la sicurezza della comunità al centro delle decisioni, garantendo al contempo il rispetto del benessere animale.
La storia di Andrea Papi è un monito a non dimenticare che la prevenzione è sempre preferibile al rimpianto e che la responsabilità, in questi casi, è sempre condivisa.