Il Tribunale di Trento ha riaperto una complessa questione di diritto, etica e libertà religiosa, revocando gli arresti domiciliari a un medico siriano di 61 anni accusato di praticare circoncisioni a bambini musulmani nel proprio ambulatorio.
La decisione del Giudice per le Indagini Preliminari (GIP) Enrico Borrelli, pur mantenendo l’inchiesta aperta, segna una fase delicata in un caso che solleva interrogativi profondi sulla regolamentazione di pratiche religiose e l’esercizio della professione medica.
L’indagine, avviata dalla Procura, aveva portato all’arresto del medico, accusato di operare un ambulatorio privo di autorizzazione sanitaria e con evidenti carenze igienico-sanitarie.
Tuttavia, il GIP ha espresso riserve sulla necessità di una misura cautelare così restrittiva, rigettando anche la richiesta di sospensione dall’esercizio della professione.
Questa decisione si basa, in parte, sull’interpretazione della legge 1989, che disciplina la circoncisione rituale nell’ambito della fede ebraica.
La legge, sebbene non esplicitamente applicabile alla circoncisione musulmana, fornisce un quadro giuridico che, secondo il GIP, suggerisce che l’abilitazione medica, pur rappresentando un elemento di garanzia, non costituisce un requisito assoluto per la legittimità della pratica.
La questione giuridica è particolarmente intricata.
La circoncisione, fin dall’antichità, è una pratica religiosa significativa per diverse comunità, e la sua regolamentazione in contesti laici come quello italiano si scontra con principi di libertà religiosa e autonomia decisionale dei genitori.
La richiesta di un’autorizzazione sanitaria, in questo contesto, si pone come un potenziale ostacolo all’esercizio di un diritto costituzionale, sollevando il dibattito sulla proporzionalità della restrizione imposta.
L’avvocato difensore, Andrea de Bertolini, ha espresso soddisfazione per la decisione del GIP, sottolineando la convinzione del suo assistito di aver agito nel pieno rispetto della legge.
Questa affermazione evidenzia la percezione, diffusa all’interno della comunità musulmana, di agire in conformità con i propri valori religiosi e culturali, spesso in contrasto con le aspettative e le normative della società dominante.
Il caso di Trento apre un dibattito più ampio sulla necessità di un quadro giuridico chiaro e coerente che bilanci i diritti individuali, la tutela della salute pubblica e il rispetto delle diversità religiose.
La decisione del GIP, pur non risolvendo definitivamente la questione, rappresenta un primo passo verso una riflessione più approfondita sulla regolamentazione delle pratiche religiose in un contesto multiculturale e pluralista.
L’inchiesta proseguirà, ma la decisione di revocare gli arresti domiciliari indica una cautela nell’affrettare giudizi e nella necessità di considerare tutte le implicazioni etiche e legali in gioco.







