L’ostentata semplicità con cui si discute della questione del terzo mandato, apparentemente relegata a un mero calcolo aritmetico, cela una complessità istituzionale e politica ben più profonda. Affermazioni come quella del Presidente della Provincia di Trento, Maurizio Fugatti, che stemperano la discussione con un’apparente disinvoltura, rischiano di offuscare i principi fondamentali che regolano la tenuta democratica e la successione al potere.La recente bocciatura in Senato dell’emendamento leghista, che mirava ad estendere da due a tre il limite massimo di mandati per i presidenti di Regione, ha riacceso un dibattito cruciale. La sua mancata approvazione, sminuita con la retorica dell’incompatibilità con la competenza provinciale, evidenzia una più ampia questione: la percezione del limite dei mandati come una formalità burocratica anziché come un cardine del sistema democratico.L’asserita irrelevanza della questione per la Provincia di Trento, e la conseguente disaffezione alla procedura parlamentare, sollevano interrogativi sulla responsabilità politica e sulla trasparenza del processo decisionale. L’impugnazione della legge regionale da parte del governo, e la sua successiva sospensione, amplificano il quadro di un conflitto istituzionale che trascende la singola disposizione legislativa.L’estensione dei mandati, infatti, non è solo una questione di numero. Rappresenta una riflessione sulla concentrazione del potere, sulla potenziale deriva autoritaria, e sulla capacità del sistema politico di rinnovarsi. Il limite dei mandati, originariamente concepito come un meccanismo di garanzia per la alternanza al potere, rischia di essere eroso da interpretazioni restrittive e da interessi particolari.La discussione, dunque, non dovrebbe essere relegata a un mero tecnicismo parlamentare, ma dovrebbe coinvolgere una più ampia riflessione sulla natura del potere, sulla sua legittimità, e sui meccanismi di controllo che ne assicurino la responsabilità. La semplificazione retorica, l’apparente indifferenza verso le implicazioni più ampie, rischiano di compromettere il dibattito pubblico e di indebolire le fondamenta stesse della democrazia. Il caso Fugatti, in questo contesto, diventa un paradigma di un approccio superficiale a questioni di cruciale importanza per il futuro del sistema politico italiano.