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domenica 9 Novembre 2025

Nepal, tragedia in montagna: un confronto con i limiti umani

La recente catastrofe che ha colpito il Nepal, con la perdita di numerosi alpinisti italiani, riaccende un dibattito cruciale: il rapporto tra l’uomo e la montagna, un’entità primordiale e ineluttabilmente potente.

L’amarezza per queste vite spezzate è temperata dalla consapevolezza che, nonostante i progressi tecnologici e la crescente sofisticazione delle attrezzature, la montagna rimane un ambiente intrinsecamente ostile, un banco di prova che mette a nudo i limiti della nostra esistenza.
Come osservato da Reinhold Messner, la tragicità di questi eventi è amplificata dalla natura degli incidenti stessi.
La morte improvvisa di due persone in tenda, schiacciate da una forza inarrestabile, testimonia la vulnerabilità assoluta dell’uomo di fronte a un evento naturale.
Altre vittime, impegnate in un trekking sullo Yalung Ri, una via di accesso a una vetta di 6000 metri, hanno affrontato un percorso apparentemente meno impegnativo, ma ugualmente esposto a pericoli imprevedibili.

Messner sottolinea un aspetto fondamentale: la differenza tra l’alpinismo estremo, praticato sulle vette ottomila, dove l’affollamento crea una sorta di “traffico” controllato, e il trekking, dove la libertà di scelta del percorso si accompagna a una maggiore incertezza.
I sentieri più battuti, come il giro dell’Annapurna e l’avvicinamento al campo base dell’Everest, rappresentano eccezioni.

La maggior parte delle vie di accesso alle vette nepalesi offre un’illusione di sicurezza, mascherando una realtà di rischi latenti.

La montagna non è una sfida da affrontare con leggerezza.

Non si tratta di una semplice escursione, ma di un incontro con una forza incommensurabile, una presenza che sovrasta l’uomo in ogni sua aspirazione.
La nostra capacità di comprendere e prevedere i fenomeni naturali, pur in continuo miglioramento, resta intrinsecamente limitata.
La possibilità di sfuggire a una valanga, di reagire a un improvviso cambiamento climatico, di evitare una crepaccia nascosta, è spesso questione di secondi, un margine di errore che la montagna non concede.
La lezione più importante, derivante da decenni di esperienza alpinistica, è la rinuncia.
La capacità di riconoscere i propri limiti, di interpretare i segnali di pericolo, di tornare indietro quando il rischio supera il potenziale di ricompensa, è la chiave per la sopravvivenza.
La montagna non è una nemica in senso malizioso, ma una maestra severa che impone rispetto e prudenza.
Ogni volta che un uomo mette piede su di essa, accetta implicitamente il rischio di confrontarsi con la propria mortalità.
E maggiore è il numero di persone che intraprendono questa sfida, maggiore sarà il prezzo da pagare.
L’umiltà, la consapevolezza dei propri confini e la capacità di rinunciare sono, in definitiva, le virtù essenziali per chiunque desideri sfidare la montagna, non per conquistarla, ma per conviverne in armonia.

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