domenica, 20 Luglio 2025
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Papa e Cardinale Zuppi: un’offerta di pace e memoria.

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L’auspicio formulato da Papa Leone XIV, un atto di disponibilità che trascende la consueta prassi vaticana, risuona con forza nel panorama internazionale. Come sottolineato dal Cardinale Matteo Maria Zuppi durante il Festival dell’Economia di Trento, questa presa di posizione non è una mera formalità, ma un’offerta concreta di mediazione, un impegno personale che investe la Santa Sede.In sintonia con le linee guida tracciate nella Bolla del Giubileo, *Spes non confundit*, dove la speranza si configura come essenza stessa dell’anno santo, Papa Francesco ha riaffermato l’urgenza di un’azione diplomatica coraggiosa e innovativa. La costruzione di tavoli di trattativa, finalizzati a una pace sostenibile, non è un’opzione, ma un dovere inderogabile. Questa prospettiva si radica in un principio evangelico profondo: l’amore per il nemico, un atto trasformativo che ne dissolve la stessa identità di antagonista, come evidenziato con chiarezza dal Cardinale Zuppi. Non si tratta di un’astrazione retorica, bensì di un imperativo etico che implica un cambiamento radicale di prospettiva, un riconoscimento dell’umanità condivisa al di là delle divisioni ideologiche o geopolitiche.Il Presidente della Cei ha poi sollevato una questione cruciale, spesso trascurata nell’analisi dei conflitti: la necessità di preservare la memoria visiva della guerra. L’immagine, come testimoniato dalla fotografia che Papa Francesco teneva costantemente con sé – quella di un bambino di Hiroshima che stringe tra le braccia il corpo senza vita del fratello – possiede una forza emotiva in grado di penetrare le barriere dell’indifferenza. Questa testimonianza, e simili, devono essere interiorizzate, salvaguardate nella nostra memoria personale e collettiva, perché esse fungono da antidoto contro la banalizzazione della violenza.L’abitudine, la ripetizione, la riduzione della guerra a fredde statistiche o a calcoli strategici, rischiano di anestetizzare la coscienza umana. La guerra, quando diviene mera “geopolitica”, perde la sua vera essenza, si svuota del suo orrore intrinseco. È la percezione diretta, la tangibilità del dolore e della sofferenza, che ci impedisce di accettare la guerra come una realtà inevitabile. La perdita di questa percezione, la sua erosione progressiva, apre la strada all’acquiescenza, all’indifferenza, e, in ultima analisi, alla perpetuazione del ciclo di violenza. La testimonianza visiva, quindi, non è un mero esercizio di memoria, ma un atto di resistenza contro la desensibilizzazione, un monito costante alla ricerca di soluzioni pacifiche e durature.

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