Il tragico evento sulla Cima Vertana, in Val Aurina, che ha causato il decesso di un turista ungherese, mette in luce la pericolosità intrinseca dell’ambiente alpino e la complessità dei processi di instabilità nivologica.
L’analisi di Valanghe.
report rivela che si è trattato di una slavina a lastroni di dimensioni modeste, ma sufficientemente potente da determinare un esito fatale.
La sua traiettoria si è sviluppata su un pendio roccioso, con un’esposizione prevalentemente nord-ovest, configurazione tipica di aree accumulate con una maggiore incidenza di radiazione solare ridotta, e quindi di neve persistente.
La dinamica della slavina non è stata innescata da un carico recente, ma da una combinazione di fattori che si sono accumulati nel tempo.
Il lastrone, esteso per circa 10 metri, era costituito da una stratificazione complessa, con strati nevosi databili al 24 dicembre e alla notte tra il 26 e il 27 dicembre.
Questa sequenza cronologica evidenzia l’importanza di comprendere non solo le precipitazioni recenti, ma anche l’evoluzione della coltre nevosa a lungo termine.
Il fattore critico in questo caso è stato la presenza di debolezza strutturale all’interno della coltre nevosa.
L’analisi identifica due potenziali piani di debolezza: una superficie vettonitica preesistente, ovvero uno strato di neve con cristalli a forma di piramide esagonale, e le particelle di neve frammentata, residuo della nevicata del 24 dicembre.
Queste particelle, meno coese e meno dense, hanno creato un punto di discontinuità all’interno del pacco nevoso, fungendo da potenziale piano di distacco.
La vettonitazione, in particolare, è spesso associata a condizioni di instabilità prolungate, poiché la forma dei cristalli ne favorisce lo scivolamento su strati sottostanti.
L’incidente sottolinea come la valutazione del rischio valanghe non possa limitarsi all’osservazione delle condizioni meteorologiche immediate.
Richiede una comprensione approfondita della stratificazione del manto nevoso, l’analisi delle condizioni strutturali e la conoscenza delle caratteristiche geomorfologiche del territorio.
La presenza di lastroni, in particolare, implica una potenziale instabilità anche con carichi relativamente modesti, poiché il lastrone stesso agisce come un’unità coerente, trasmettendo le sollecitazioni su un’ampia area.
La profondità stimata del lastrone distaccato (tra i 10 e i 40 centimetri) suggerisce che, nonostante le dimensioni contenute, la sua massa concentrata ha avuto la forza di superare la resistenza del pendio, generando un movimento improvviso e inaspettato.
La tragedia invita a una riflessione più ampia sulla responsabilità individuale e collettiva nella gestione del rischio in montagna, rafforzando l’importanza di una formazione adeguata e di un’attenta pianificazione delle attività in ambiente alpino.








