La tragedia che ha colpito la Marmolada si è conclusa con il decesso di un giovane freerider romano di 31 anni, un evento che solleva interrogativi cruciali sulla sicurezza in montagna e sulla complessità dei contesti alpini.
L’incidente, verificatosi a 2700 metri di altitudine, sotto la severa imponenza della Punta Rocca, ha visto il giovane travolto da una slavina durante una discesa fuoripista, un ambiente per sua natura caratterizzato da un elevato grado di rischio e imprevedibilità.
La dinamica, ricostruita dalle prime indagini e dalle testimonianze degli amici che lo accompagnavano, suggerisce che la slavina, innescata probabilmente da una combinazione di fattori – tra cui la morfologia del terreno, le condizioni meteorologiche e la stabilità del manto nevoso – lo ha trascinato violentemente, proiettandolo oltre un salto roccioso e facendolo precipitare in uno dei numerosi e profondi crepacci che solcano il ghiacciaio.
La richiesta di soccorso, prontamente inviata intorno alle 13:45, ha immediatamente attivato un complesso meccanismo di risposta che ha coinvolto diverse squadre specializzate.
La Centrale Unica di Emergenza ha coordinato l’intervento del Soccorso Alpino e Speleologico del Trentino, mobilitando l’elicottero per un primo sopralluogo aereo.
La rapidità di questa fase iniziale è stata fondamentale per l’avvio delle operazioni di ricerca.
L’immediata individuazione della slavina che si riversava all’interno del crepaccio, durante il sorvolo aereo, ha reso evidente la necessità di un approccio altamente specializzato.
Due unità cinofile, una del Soccorso Alpino e l’altra della Polizia, sono state inviate in elicottero per localizzare con precisione la vittima.
Contestualmente, una squadra di soccorritori della Stazione Alta Fassa è stata trasportata in quota per avviare le operazioni di sondaggio, un’attività delicata che richiede competenza e attrezzatura specifica.
Le operazioni di bonifica, protrattesi per l’intero pomeriggio, hanno interessato sia l’area della slavina che il fondo del crepaccio, richiedendo l’impiego di dieci operatori altamente qualificati, supportati dalle unità cinofile.
La difficoltà dell’intervento è stata amplificata dalla profondità del crepaccio e dalla natura instabile del terreno.
La localizzazione definitiva del corpo, in una posizione estremamente impervia, ha reso necessaria l’ulteriore mobilitazione di un’équipe sanitaria, che ha proceduto all’intubazione del giovane prima del suo elitrasporto d’urgenza.
Il successivo trasferimento in ospedale a Trento, purtroppo, non è riuscito a scongiurare il decesso, consumatosi poche ore dopo.
L’episodio riapre il dibattito sulla responsabilità individuale nella pratica dello sport in montagna, sull’importanza di una formazione adeguata e sulla necessità di monitorare costantemente le condizioni meteorologiche e la stabilità del manto nevoso.
Inoltre, solleva interrogativi sulla gestione del rischio in un ambiente alpino sempre più frequentato e sulle misure di sicurezza da adottare per proteggere la vita dei praticanti.
La tragedia, oltre al dolore per la perdita di una giovane vita, rappresenta un monito per tutti coloro che amano la montagna.








