Il recente episodio del contadino della Val Gardena, che ha temporaneamente installato un tornello a pedaggio su un sentiero panoramico delle Odle, è la manifestazione più recente di un disagio profondo che serpeggia tra le comunità alpine.
Lungi dall’essere un mero gesto isolato, l’azione rappresenta un campanello d’allarme, un grido di protesta contro un modello di turismo che sta erodendo l’equilibrio socio-ambientale delle Dolomiti.
L’immagine del tornello, per certi versi evocativa di stadi e aree pubbliche, si è imposta come simbolo di un’esasperazione radicata.
Non è la prima volta che una simile iniziativa si manifesta: già in passato, la vicenda della chiesetta di Santa Maddalena in Val di Funes aveva evidenziato la necessità di gestire flussi turistici sempre più massicci e spesso irrispettosi.
Oggi, l’accesso al suggestivo Lago di Braies richiede una prenotazione tramite smartphone, un’ulteriore prova di come il desiderio di fruire di questi luoghi iconici si scontrino con la capacità di accoglierli in modo sostenibile.
Il fenomeno, etichettato come “turismo mordi-clicca-fuggi”, si alimenta di una logica consumistica che privilegia l’istantaneità e la condivisione sui social media rispetto alla fruizione consapevole e rispettosa del territorio.
L’esasperazione dei residenti, in parallelo a quanto già sperimentato a Venezia, è comprensibile: l’incessante afflusso di visitatori, spesso alla ricerca di un’immagine da postare, genera impatti negativi sulla flora, la fauna e il paesaggio.
La denuncia del presidente del CAI Alto Adige, Carlo Alberto Zanella, suona come un’ammonizione: le Odle, uno dei simboli delle Dolomiti, sono invase da un turismo superficiale, alimentato anche da dinamiche politiche che favoriscono la spettacolarizzazione del territorio.
Il contadino, stanco di assistere al degrado del proprio patrimonio, ha voluto testare la reazione di un sistema che sembra incapace di auto-regolarsi.
Il danno va oltre la mera deturpazione fisica del territorio.
L’utilizzo di e-bike in alta quota, ad esempio, provoca erosioni del suolo che compromettono la resilienza degli alpeggi, rendendoli vulnerabili agli eventi climatici estremi.
Il turista, pagando un considerevole importo per l’accesso con la funivia e spendendo in ristoro, ignora che il contadino, il manutentore dei sentieri, il volontario che cura il territorio, non ricevono un beneficio economico proporzionale.
La soluzione non risiede in un controllo repressivo, bensì in una profonda trasformazione culturale.
È urgente promuovere un’educazione al turismo responsabile, che valorizzi la lentezza, l’immersione nella natura, il rispetto per le tradizioni locali.
Occorre incentivare forme di turismo esperienziale, che favoriscano l’incontro con le comunità alpine e la scoperta del patrimonio culturale immateriali.
Si tratta di recuperare un senso di appartenenza al luogo, di sentirsi parte di un ecosistema fragile e prezioso, da proteggere e custodire per le generazioni future.
L’episodio del tornello è un monito: la bellezza delle Dolomiti non può essere un bene di consumo indiscriminato, ma un patrimonio da preservare con cura e consapevolezza.