La giustizia austriaca ha inflitto un’ulteriore condanna a René Benko, l’ex magnate immobiliare al centro del clamoroso collasso del gruppo Signa, questa volta a 15 mesi di reclusione, sospesi a condizione.
Il verdetto si aggiunge alla precedente sentenza di due anni emessa dalla Corte d’Assise di Innsbruck nel 2023, riconfermando l’accusa di bancarotta fraudolenta che ha segnato la parabola discendente di un impero costruito su speculazioni immobiliari e leveraged buyouts.
L’ultimo provvedimento giudiziario verte su un episodio specifico, legato alla sottrazione di beni – 120.000 euro in contanti e oggetti di lusso per un valore di 250.000 euro, tra orologi di pregio e gioielli – destinati alla massa dei creditori fallimentari.
Questi beni, recuperati, erano stati nascosti in una cassaforte situata nell’abitazione di amici di Benko, un dettaglio che ha reso l’operazione particolarmente audace e che ha contribuito ad alimentare il dibattito pubblico sulla trasparenza e la moralità delle pratiche finanziarie adottate in passato.
La moglie di Benko, coinvolta nella stessa indagine, è stata assolta, una decisione che ha inevitabilmente acceso ulteriori speculazioni e discussioni sulle dinamiche interne al gruppo e sui ruoli giocati dai diversi membri della famiglia.
Il caso Benko, tuttavia, non si esaurisce con questo verdetto.
L’ex miliardario è attualmente al centro di indagini complesse, che si estendono anche al territorio italiano, dove vengono esaminati con attenzione una serie di operazioni immobiliari.
Queste inchieste mirano a ricostruire il complesso intreccio di società offshore, finanziamenti opachi e strategie di investimento che hanno caratterizzato l’attività di Signa, al fine di accertare eventuali irregolarità e responsabilità penali.
L’impatto del collasso di Signa è stato notevole, con ripercussioni a livello europeo, coinvolgendo banche, fondi di investimento e sviluppatori immobiliari.
La sentenza attuale, pur se accompagnata dalla sospensione condizionale, sottolinea la gravità delle accuse e segnala una crescente pressione giudiziaria nei confronti di Benko.
La vicenda solleva interrogativi fondamentali sulla governance aziendale, sulla gestione del rischio e sulla responsabilità dei manager di fronte al fallimento di grandi gruppi economici.
La donazione di 300.000 euro alla madre, contestata dal Tribunale, rappresenta un tassello di un quadro più ampio, volto a comprendere come i beni del gruppo siano stati gestiti e distribuiti nel periodo precedente al fallimento.
Il futuro di René Benko resta incerto, appeso alle indagini in corso e alle possibili richieste di estradizione verso l’Italia, dove il suo coinvolgimento in operazioni immobiliari sarà esaminato con la stessa meticolosità e determinazione che hanno caratterizzato il processo in Austria.








