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Assegno post-scioglimento unioni civili: svolta della Cassazione

La recente pronuncia della Corte di Cassazione, emersa da un’ordinanza di quindici pagine relativa alla dissoluzione di un’unione civile tra due donne, rappresenta un’evoluzione significativa nell’interpretazione e applicazione della normativa riguardante lo scioglimento di queste relazioni legali.
La sentenza, pur ribadendo le peculiarità dell’unione civile rispetto al matrimonio, sancisce la possibilità di riconoscere l’assegno post-scioglimento, equiparando, in linea di principio, le condizioni per il suo riconoscimento a quelle previste per il divorzio.
L’ordinanza va a consolidare un quadro giuridico che, pur partendo da una struttura normativa distinta, integra progressivamente i diritti e gli obblighi derivanti dalle relazioni omosessuali formalizzate, in una logica di progressiva parificazione con il modello matrimoniale tradizionale.
È doveroso ricordare che l’unione civile, introdotta con la legge Cirinnà, mirava a conferire piena rilevanza giuridica alle relazioni omoaffettive, superando la tradizionale esclusione dalla sfera del diritto di famiglia.
Tuttavia, l’istituto si caratterizza per una procedura di scioglimento più snella rispetto al divorzio, senza la fase intermedia della separazione e, apparentemente, senza l’assegno di mantenimento.

La sentenza della Cassazione, attingendo al comma 25 della legge sull’unioni civili – che esplicitamente rinvia alle norme sul divorzio “in quanto compatibili” – chiarisce che la possibilità di riconoscimento dell’assegno post-scioglimento è concreta e non meramente teorica.
Tale decisione non è un’anomalia interpretativa, ma il culmine di un percorso di chiarimento iniziato con l’entrata in vigore della legge Cirinnà.
La relatrice stessa della legge, Monica Cirinnà, aveva già anticipato, in passato, la potenziale applicabilità di tali principi, sottolineando l’obiettivo di garantire l’eguaglianza sostanziale tra le diverse forme di convivenza.
La Cassazione, nel delineare i criteri per la concessione dell’assegno, si focalizza su due funzioni primarie: quella “assistenziale” e quella “perequativo-compensativa”.

La funzione assistenziale si configura quando una delle parti, a seguito dello scioglimento dell’unione civile, si trova in una condizione di indigenza economica, priva dei mezzi necessari per una vita autonoma e dignitosa, nonostante ogni sforzo profuso per migliorare la propria situazione.
In questo caso, l’assegno non sarà parametrato al tenore di vita precedentemente condiviso, ma sarà finalizzato a soddisfare le sole necessità essenziali.

La funzione perequativo-compensativa, invece, entra in gioco quando lo squilibrio economico tra i partner è il risultato diretto delle scelte di vita comune, in particolare quando una delle parti ha rinunciato a opportunità professionali e reddituali per assumere un ruolo di supporto alla vita familiare e per contribuire alla crescita del patrimonio comune.
In questo scenario, l’ammontare dell’assegno sarà commisurato al contributo fornito dalla parte richiedente, tenendo conto non solo del sacrificio subito, ma anche dell’effettivo impatto avuto sulla crescita del patrimonio dell’altra parte.

Il caso specifico portato all’attenzione della Corte riguarda la fine di un’unione civile siglata nel 2016 in Friuli Venezia Giulia.

La sentenza consolida, dunque, un principio di parità di trattamento che si estende anche alle coppie omosessuali, segnando un passo importante verso il pieno riconoscimento dei diritti delle persone non eterosessuali all’interno dell’ordinamento giuridico italiano, e superando definitivamente ogni ambiguità interpretativa.

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