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venerdì 24 Ottobre 2025

Caso Regeni: Fineschi a Trieste, tra verità, giustizia e memoria.

Il convegno internazionale “Osservazioni sulla tortura – Dialoghi sul contrasto e sull’accertamento di un reato universale”, tenutosi all’Università di Trieste, ha offerto una piattaforma cruciale per esaminare la complessità del caso Regeni, un’ombra lunga sulla ricerca della verità e sulla giustizia internazionale.
A ripercorrere le tappe più delicate e le incongruenze procedurali è stato l’anatomopatologo Vittorio Fineschi, figura chiave nell’indagine forense che ha seguito la tragica morte del ricercatore italiano in Egitto.
L’analisi di Fineschi non si è limitata alla mera cronologia degli eventi, ma ha approfondito le intricate problematiche giuridiche che hanno caratterizzato l’intero iter processuale.
La difficoltà di portare a giudizio imputati che si sottraggono alla giustizia, spesso celandosi dietro veti diplomatici e procedure complesse, rappresenta una criticità sistemica che ostacola l’affermazione dello stato di diritto.
La mancata estradizione, un elemento centrale nella vicenda, ha contribuito a creare un vuoto di giustizia, lasciando irrisolte le domande fondamentali che la famiglia Regeni e l’opinione pubblica italiana continuano a porre.
L’esecuzione dell’autopsia, eseguita scrupolosamente secondo i protocolli scientifici, non ha cancellato le difficoltà procedurali.
Il contraddittorio, inteso come diritto costituzionale alla difesa, si è rivelato un’arma a doppio taglio, un elemento che ha contribuito a rallentare il processo e ad alimentarne le incertezze.

L’attuale sospensione, in attesa di una pronuncia della Corte Costituzionale relativa al diritto di difesa degli imputati, testimonia la profonda frattura tra la necessità di accertare la verità e le complessità del sistema giudiziario.

Questa sospensione non è solo un ritardo nella giustizia, ma anche un monito sulla fragilità dei diritti fondamentali in contesti internazionali conflittuali.
Fineschi, con una prospettiva storica illuminante, ha inquadrato il caso Regeni all’interno di una tradizione di abusi e violenze sistematiche.

Il contesto egiziano, come emerge dalla letteratura e da documentazioni scientifiche antecedenti al 2010, era già permeato da pratiche disumane all’interno di carceri e strutture militari.

Il caso Regeni, pur inserendosi in questa continuità, segna una svolta qualitativa, rivelando un’evoluzione nei metodi e nella platea dei responsabili, suggerendo una crescente sofisticazione nell’occultamento delle responsabilità.
L’omicidio di Giulio Regeni non è un episodio isolato, ma la manifestazione più cruenta di un sistema di impunità radicato, un sistema che richiede un’azione internazionale determinata per essere sconfitto.
La sua memoria, lungi dall’essere un fardello, deve costituire un imperativo morale per la comunità scientifica e politica, un impegno costante nella ricerca della verità e nella promozione dei diritti umani, ovunque essi siano violati.
Il silenzio, in questo caso, sarebbe la più grande delle complicità.

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