L’apparente placidità degli ambienti sotterranei giuliani è stata recentemente turbata dall’insediamento di un inquilino inatteso e potenzialmente impattante: la Chiocciola di Fango Neozelandese ( *Potamopyrgus antipodarum*).
Questo piccolo mollusco, apparentemente innocuo, possiede una capacità riproduttiva e un’abilità di adattamento tali da configurarlo come una specie invasiva di notevole preoccupazione ecologica.
In contesti ecosistemici idonei, la *Potamopyrgus antipodarum* è in grado di raggiungere densità impressionanti, superando in alcune aree il mezzo milione di esemplari per metro quadrato.
Questa proliferazione esponenziale le permette di monopolizzare una porzione significativa delle risorse nutritive disponibili, spesso fino al 75%, a discapito di altre specie autoctone.
L’effetto domino è complesso: la competizione per il cibo si traduce in una riduzione della biomassa di organismi sensibili, con possibili ripercussioni sulla catena trofica e, in ultima analisi, sulla pescosità delle acque.
Oltre ai danni diretti all’ecosistema acquatico, la chiocciolina può anche generare problematiche di natura meccanica, ostruendo condotte idriche e sistemi di filtrazione.
L’origine della presenza neozelandese nelle acque dell’Acquedotto Teresiano, opera ingegneristica asburgica che si snoda sotto Trieste, rimane avvolta nel mistero.
L’ipotesi più accreditata, formulata dalle autorità comunali, la fa risalire al periodo della liberazione della città, suggerendo un trasporto accidentale ad opera di truppe provenienti dalla Nuova Zelanda.
Questa possibilità sottolinea la pericolosità del fenomeno delle specie aliene, spesso introdotte in modo involontario a causa delle attività umane, con conseguenze imprevedibili e difficili da gestire.
La conferma della presenza del mollusco è frutto di un’iniziativa scientifica internazionale, condotta da ricercatori slovacchi e tedeschi, e coordinata con istituzioni locali come il Museo Civico di Storia Naturale di Trieste, il Dipartimento di Scienze della Vita dell’Università di Trieste e la Società Adriatica di Speleologia.
La collaborazione tra ricercatori di diverse nazionalità testimonia l’importanza di un approccio multidisciplinare per affrontare problematiche ambientali transnazionali.
Nonostante l’impatto potenziale sia chiaro in altri ambienti, gli effetti specifici della *Potamopyrgus antipodarum* nelle acque sotterranee giuliane rimangono ancora da definire.
Si spera che le condizioni ambientali estreme tipiche degli acquedotti, come la scarsa illuminazione e le limitate risorse, possano frenarne la proliferazione e mitigarne l’impatto sulla fragile biodiversità locale.
Tuttavia, l’incertezza richiede un monitoraggio costante e un’azione preventiva.
Le autorità comunali, a partire da Piazza Unità d’Italia, hanno annunciato un’estensione delle indagini ad altri corsi d’acqua della regione, nel tentativo di individuare eventuali ulteriori focolai e valutare l’estensione del fenomeno invasivo.
Parallelamente, si raccomanda con forza l’adozione di misure di biosicurezza, come la pulizia accurata di attrezzature e calzature, per prevenire la diffusione accidentale della specie in nuovi ambienti.
La gestione di questo nuovo scenario ecologico rappresenta una sfida complessa che esige consapevolezza, cautela e un impegno costante a tutela del patrimonio naturale giuliano.