La persistente emergenza che investe i Centri di Permanenza per i Rimpatri (CPR) non rappresenta una novità, bensì il tragico epilogo di un sistema fallace, lungamente segnalato da innumerevoli indagini e rapporti, inclusa l’ultima denuncia del Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura. L’immagine diffusa da No CPR, relativa agli eventi verificatisi a Gradisca d’Isonzo, è il manifestarsi, in forma tangibile, di una problematica ben più profonda e strutturale.L’architettura giuridica e operativa dei CPR, per sua stessa essenza, si sottrae ai vincoli di un quadro normativo dettagliato che garantisca il rispetto dei diritti fondamentali. A differenza degli istituti penitenziari, i CPR non sono disciplinati da un regolamento penale primario, privando i soggetti trattenuti di tutele essenziali: diritti specifici, procedure di gestione, e linee guida per l’azione delle forze dell’ordine rimangono nebulose e suscettibili a interpretazioni arbitrarie. L’assenza di una magistratura di sorveglianza, figura chiave nel controllo dell’esecuzione delle pene e nella garanzia dei diritti dei detenuti, aggrava ulteriormente questa carenza, rendendo i CPR, di fatto, zone grigie giuridiche. La durata delle permanenze, spesso assimilabile a quella delle pene detentive, amplifica questa assenza di controllo.Il CPR, in questa configurazione, si configura come un “non-luogo”, uno spazio sospeso al di fuori delle consuete protezioni legali, dove l’irruzione della violenza, di abusi di potere e di comportamenti illegali diventa non solo possibile, ma quasi prevedibile. Lungi dall’essere un mero incidente isolato, come giustamente sottolineato in attesa degli esiti dell’indagine in corso, ciò riflette un sistema intrinsecamente vulnerabile, incapace di garantire la dignità e i diritti delle persone ad esso sottoposte. L’emergenza CPR non è quindi un problema di gestione occasionale, ma una conseguenza ineludibile di un modello che sacrifica i principi fondamentali dello stato di diritto sull’altare di una politica migratoria spesso priva di umanità e di garanzie procedurali. Richiede una revisione radicale, che superi l’approccio emergenziale per affrontare le cause profonde del problema e restituire dignità a chi, pur in attesa di un esito legale, si trova privato della propria libertà.
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