La situazione di incertezza e difficoltà che attanaglia i lavoratori italiani impiegati nelle basi militari statunitensi, in particolare quella di Aviano (Pordenone), si fa sempre più pressante.
Superando la soglia dei 409 lavoratori direttamente colpiti, una stima prudente indica che circa mille persone in tutta Italia si trovano nell’orbita di questa crisi retributiva, conseguenza dello stallo governativo in atto negli Stati Uniti.
L’assenza di liquidità, derivante dall’interruzione dei finanziamenti federali, sta mettendo a dura prova la tenuta economica delle famiglie coinvolte.
Oltre all’impatto immediato sulla loro capacità di far fronte alle necessità primarie, la situazione evidenzia un quadro più ampio di precarietà, amplificato dalle distanze geografiche che molti lavoratori devono percorrere quotidianamente per raggiungere le basi, con costi di trasporto che gravano ulteriormente sulle già provate finanze.
L’impossibilità di ricorrere a soluzioni flessibili come il telelavoro acuisce ulteriormente la rigidità e l’insostenibilità del modello operativo attuale.
Le interlocuzioni tra le rappresentanze sindacali, in particolare con il comando della base, non hanno finora prodotto risultati concreti, lasciando i lavoratori in una condizione di sospensione e frustrazione.
L’assemblea pubblica che si è tenuta, animata da un acceso dibattito politico e sindacale, ha messo in luce la crescente preoccupazione e la necessità di trovare soluzioni rapide ed efficaci.
La peculiarità di questa situazione risiede nella sovrapposizione di due sistemi giuridici e amministrativi distinti.
Pur essendo impiegati in strutture militari statunitensi, i lavoratori italiani sono tutelati dallo Statuto dei lavoratori, che dovrebbe garantire loro il diritto alla retribuzione anche in caso di blocchi governativi americani.
Questa sovrapposizione, paradossalmente, si traduce in un contenzioso tra due ordini legali, con i lavoratori intrappolati in una zona grigia.
L’intervento richiesto alla Presidente del Consiglio Giorgia Meloni testimonia la gravità percepita della questione a livello politico nazionale.
Le opzioni allo studio per alleviare l’emergenza comprendono la ricerca di finanziamenti a breve termine attraverso istituti bancari, un’iniziativa che, pur offrendo una prospettiva di sollievo immediato, non risolve la causa strutturale del problema.
L’esempio tedesco, dove il governo ha provveduto ad anticipare gli stipendi a migliaia di cittadini, sottolinea la possibilità di interventi proattivi da parte delle autorità, sebbene in un contesto giuridico e politico diverso.
La comunicazione della JCPC, la commissione paritetica sul personale civile, aveva già preavvisato il rischio di ritardi retributivi, indicando un quadro di incertezza che si è poi concretizzato.
La prospettiva di uno sciopero, ventilata dal segretario Uiltuct-Uil, Angelo Zaccaria, riflette la crescente frustrazione e la determinazione dei lavoratori a rivendicare il diritto al pagamento degli stipendi.
Tale azione, sebbene radicale, potrebbe rappresentare un catalizzatore per accelerare la risoluzione della questione e sensibilizzare l’opinione pubblica sulla necessità di tutelare i diritti dei lavoratori italiani impiegati nelle basi militari statunitensi.
Il nodo cruciale rimane la capacità di trovare una soluzione che concili le esigenze operative delle basi militari con il rispetto dei diritti dei lavoratori italiani, garantendo la continuità del servizio e la tutela del loro sostentamento economico.







