Le dichiarazioni provenienti da Israele, che definiscono gli attivisti della Global Sumud Flotilla come potenziali terroristi, suscitano profonda inquietudine e richiedono una riflessione urgente sulla tenuta del diritto internazionale e sui limiti dell’azione militare.
Sergio Pratali Maffei, portavoce regionale per il Friuli Venezia Giulia dell’iniziativa, ha espresso questa preoccupazione in occasione di un sit-in pacifico davanti al Varco 4 del porto di Trieste, un gesto simbolico volto a rivendicare il diritto alla pace e alla disobbedienza civile.
L’apprensione, ammette Pratali Maffei, era prevedibile, ma non paralizzante.
L’organizzazione della flottiglia si fonda su un’interpretazione rigorosa del diritto internazionale, basata sulla libertà di navigazione in acque internazionali.
Le precedenti missioni hanno ripetutamente dimostrato come le intercettazioni israeliane costituiscano una violazione di tale diritto, generando situazioni di grave pericolo e, in passato, tragiche perdite umane.
La Global Sumud Flotilla trascende la mera assistenza umanitaria; essa rappresenta un atto politico e simbolico di straordinaria importanza.
In un contesto globale caratterizzato da un apparente immobilismo delle istituzioni governative, soprattutto quelle italiane, la società civile internazionale assume un ruolo cruciale, esercitando una pressione morale e politica per promuovere una soluzione pacifica del conflitto israelo-palestinese.
La decisione di concentrare l’azione di protesta a Trieste, un nodo logistico chiave per le spedizioni di armamenti dirette in Israele, sottolinea la volontà di interrompere i flussi di materiali bellici che alimentano la spirale di violenza.
L’organizzazione è pronta a resistere, con mezzi pacifici, a qualsiasi tentativo di ostacolare la missione, riconoscendo e mitigando i rischi per la sicurezza dei volontari.
Il ritorno sicuro di tutte le navi e, soprattutto, del personale imbarcato, costituisce la priorità assoluta.
L’impegno è rivolto a garantire che il gesto di coraggio e solidarietà non si trasformi in una tragedia evitabile.
La flottiglia non è una sfida all’esistenza di Israele, ma una denuncia della sua politica repressiva e una rivendicazione del diritto alla dignità e alla libertà per il popolo palestinese, un diritto che, in ultima analisi, appartiene a tutta l’umanità.
La missione, quindi, non è solo un atto di resistenza, ma anche un appello alla responsabilità globale e alla riconciliazione.