La tragedia di Giovanni, un piccolo raggruppo di innocenza strappato alla vita, ci costringe a interrogarci sul tessuto connettivo che dovrebbe tessere la nostra società, un legame primordiale che precede, e dovrebbe irrobustire, la stessa applicazione della legge.
Non si tratta di un semplice codice di comportamento, ma di una rete di relazioni, di responsabilità condivisa, di una capacità innata di riconoscere l’umanità nell’altro, anche – e soprattutto – quando quella umanità è fragile e vulnerabile.
Don Andrea Destradi, nel suo struggente discorso, ha messo in luce una contraddizione lacerante: siamo iperconnessi, immersi in una realtà digitale che promette vicinanza, ma che spesso ci isola in bolle di individualismo e indifferenza.
“Vedo, ma non guardo,” ha osservato, descrivendo una condizione diffusa, un distacco emotivo che ci permette di assistere alla sofferenza altrui senza sentirci realmente coinvolti.
Questa superficialità è un veleno che corrode i legami sociali, rendendoci spettatori passivi di eventi che richiederebbero un’azione, un gesto di solidarietà.
La domanda angosciante che molti si pongono di fronte a una tragedia simile – “Dove è Dio?” – non può trovare una risposta facile.
Don Destradi, con profonda saggezza, ha suggerito che Dio si manifesta proprio nel profondo del nostro dolore, nella capacità di risollevarci, di ricostruire, di trovare la forza di andare avanti.
Non è un Dio distaccato e impassibile, ma un Dio che si fa partecipe della nostra sofferenza, che ci invita a trovare la consolazione e la speranza nella comunità.
La veglia a Muggia, con la sua folla commossa e compatta, ha rappresentato un potente atto di resilienza, un rifiuto del dolore e dell’indifferenza.
Parenti, amici, compagni di scuola, catechisti, allenatori, e il padre sconvolto, Paolo, hanno trovato conforto nell’affetto collettivo, un abbraccio umano che ha cercato di lenire la ferita più profonda.
La presenza del vescovo Enrico Trevisi, del sindaco Paolo Polidori e di altri rappresentanti istituzionali ha sottolineato l’importanza di un impegno condiviso per ricostruire un senso di comunità e di sicurezza.
Il silenzioso corteo che si è poi spostato verso la casa della madre, illuminata da decine di candele tremolanti, è stato un atto di pietà e di speranza.
Non si trattava di giudizio o di accusa, ma di un bisogno profondo di vicinanza, di un desiderio di comprendere e di perdonare.
La tragedia di Giovanni ci invita a riflettere sul significato più profondo dell’essere umani, sulla nostra responsabilità reciproca, sulla necessità di riscoprire la bellezza della vicinanza, non come semplice condivisione di uno spazio fisico, ma come un sentimento di appartenenza, di cura e di compassione.
Dobbiamo ritrovare il coraggio di guardare negli occhi l’altro, di accoglierlo nella sua fragilità, di offrirgli il nostro sostegno, perché solo così potremo ricostruire un tessuto sociale più forte, più umano e più giusto, un luogo dove ogni bambino possa crescere protetto e amato.







