Il dibattito sull’abolizione del limite dei mandati per sindaci e presidenti di Regione, un tema apparentemente tecnico, cela in realtà una riflessione più ampia sulla continuità amministrativa, la rappresentanza popolare e le dinamiche di potere nel panorama politico italiano.
Luca Zaia, Governatore del Veneto, ha espresso pubblicamente il suo sostegno alla rimozione di questa restrizione, rinunciando egli stesso a ricandidarsi e sottolineando l’anomalia del sistema attuale.
L’attuale normativa, che impedisce a sindaci di comuni sopra i quindicimila abitanti e ai presidenti di Regione di ricandidarsi per un terzo mandato consecutivo, si pone come un’eccezione peculiare all’interno dell’ordinamento italiano.
A differenza di tutte le altre figure istituzionali – dal Presidente della Repubblica al Presidente del Consiglio, passando per ministri, parlamentari e consiglieri regionali – queste due sole categorie di rappresentanti eletti direttamente dal corpo elettorale si trovano gravate da questo vincolo.
Questa peculiarità normativa solleva interrogativi legittimi.
Si può sostenere che limitare la permanenza in carica di figure apicali, scelte direttamente dal popolo, sia in contrasto con il principio democratico della libera autodeterminazione del voto popolare.
L’esperienza e la conoscenza del territorio, accumulate nel corso di mandati precedenti, potrebbero essere fattori determinanti per la gestione efficace di una regione o di un comune, e la possibilità di interrompere questa continuità amministrativa può portare a una perdita di competenze e a una maggiore instabilità politica.
Tuttavia, è necessario considerare anche le motivazioni alla base dell’introduzione di questo limite.
L’intento originario potrebbe essere stato quello di prevenire fenomeni di accentramento del potere e di personalizzazione della politica, garantendo un ricambio generazionale e promuovendo la competizione tra diverse forze politiche.
Il rischio, in assenza di questa limitazione, è che figure carismatiche, forti di un consenso popolare consolidato, possano instaurare posizioni di potere eccessivo, limitando la possibilità di alternanza e di pluralismo politico.
La questione, dunque, non è semplicemente una valutazione della convenienza o meno di una determinata figura amministrativa, ma una riflessione più ampia sui meccanismi di controllo del potere e sulla ricerca di un equilibrio tra continuità amministrativa e rigenerazione politica.
La decisione finale spetta al legislatore, chiamato a soppesare attentamente gli argomenti a favore e contro, tenendo conto delle peculiarità del contesto italiano e delle esigenze di una democrazia dinamica e inclusiva.
Il silenzio di Zaia, pur rimanendo un sostenitore della rimozione, simboleggia forse la complessità di un dibattito che tocca nervi scoperti nella vita politica nazionale.







