L’inchiesta “Made in Falso”, condotta dalla Compagnia di Gorizia del Corpo delle Guardie di Finanza, ha portato alla luce un sofisticato sistema di contraffazione di marchi e origini, rivelando un’organizzazione criminale transnazionale specializzata nella produzione e distribuzione di abbigliamento fraudolentemente etichettato “Made in Italy”.
 L’attività, radicata in Romania e con ramificazioni in Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto, ha rappresentato un’erosione significativa del tessuto economico italiano e un danno considerevole per l’immagine del marchio “Made in Italy”, simbolo di qualità artigianale e design riconosciuto a livello globale.
L’indagine, scaturita da un’ispezione di routine in un punto strategico della fascia di confine, lungo la cosiddetta Rotta Balcanica – arteria cruciale per i flussi commerciali irregolari – ha inizialmente intercettato un autocarro rumeno carico di 1.600 capi di abbigliamento femminile, tutti recanti l’etichetta “Made in Italy” pur essendo di fabbricazione rumena.
 Questo evento, apparentemente marginale, ha rappresentato la chiave di volta per svelare un’attività illecita molto più ampia e strutturata.
Le indagini successive hanno permesso di ricostruire l’intera filiera: dalla produzione in Romania, spesso in stabilimenti operanti in condizioni precarie e in violazione delle normative del lavoro, alla spedizione verso l’Italia, dove l’abbigliamento veniva immesso nei circuiti commerciali nazionali ed europei con false dichiarazioni di origine.
L’organizzazione criminale, composta da cinque persone già denunciate, ha sfruttato le complesse dinamiche transfrontaliere e la relativa facilità di movimentazione merci tra Romania e Italia per aggirare i controlli e massimizzare i profitti.
Si stima che l’organizzazione abbia immesso nei mercati, negli ultimi cinque anni, quasi tre milioni di capi di abbigliamento contraffatti, generando un volume d’affari considerevole e alimentando un mercato parallelo che danneggia l’economia legale e penalizza le imprese oneste che investono in qualità e innovazione.
L’inchiesta “Made in Falso” non si limita a reprimere un reato di frode, ma solleva interrogativi più ampi sulla necessità di rafforzare i controlli e i meccanismi di tutela del marchio “Made in Italy”, un patrimonio immateriale che richiede un impegno costante per preservarne l’integrità e il valore.
La vicenda evidenzia anche la crescente sofisticazione delle attività criminali transfrontaliere e l’importanza di una cooperazione internazionale sempre più stretta per contrastare efficacemente i fenomeni di contraffazione e il commercio illegale.
La lotta alla contraffazione non è solo un problema economico, ma anche un imperativo etico e sociale.



                                    



