Il dibattito che circonda il referendum sulla riforma del sistema giudiziario deve, con urgenza, trascendere le dinamiche politiche e ancorarsi saldamente a un’analisi rigorosamente tecnica, giuridica e costituzionale.
L’invito, lanciato dal Ministro della Giustizia Carlo Nordio, mira a evitare un’ennesima strumentalizzazione del processo referendario, un’esperienza segnata in passato, come nel caso del referendum su Renzi, da una polarizzazione ideologica che ha offuscato la discussione di merito.
La motivazione alla base di questa richiesta di distacco dalla politica non è dettata da timore di una possibile sconfitta, bensì da una preoccupazione più profonda: la salvaguardia dell’integrità e della credibilità della magistratura.
Un ex magistrato, come lo è Nordio, è particolarmente sensibile a questo aspetto, consapevole che l’emersione di un conflitto tra istituzione giudiziaria e potere politico comprometterebbe irrimediabilmente l’immagine della magistratura stessa.
Un simile confronto, se intriso di passioni politiche, rischia di esporre la magistratura a una sconfitta non solo formale, ma soprattutto morale, con conseguenze negative per l’intera società.
Il fulcro della riforma proposta mira a risolvere un’anomalia strutturale che mina i principi fondamentali di imparzialità e indipendenza.
Attualmente, il sistema disciplinare all’interno del Consiglio Superiore della Magistratura (CSM) presenta una criticità significativa: i giudici disciplinari, eletti dagli stessi magistrati, giudicano i loro colleghi, creando una sovrapposizione di ruoli che compromette l’oggettività del processo.
Questo sistema, nato da dinamiche interne complesse, si è rivelato vulnerabile a influenze correntizie, come evidenziato dallo scandalo Palamara, che ha svelato un sistema di spartizione di potere e favoritismi all’interno della magistratura.
La riforma proposta introduce un’innovazione fondamentale: la creazione di un’Alta Corte Disciplinare composta da membri sorteggiati, totalmente estranei ai meccanismi elettorali e alle correnti interne.
Questo assetto garantisce una maggiore libertà di giudizio, liberando i giudici disciplinari da condizionamenti di qualsiasi natura.
L’indipendenza così garantita non si limita a una percezione formale, ma si traduce in una reale autonomia decisionale, essenziale per preservare la fiducia dei cittadini nell’equità del sistema giudiziario.
La riforma, in ultima analisi, ambisce a restituire alla magistratura una maggiore autonomia, non solo rispetto alla politica, ma soprattutto rispetto alle logiche correntizie che ne hanno spesso distorto il funzionamento, riaffermando i valori di imparzialità, trasparenza e responsabilità che devono contraddistinguere l’esercizio della giustizia.







