La prospettiva di una soluzione bi-statale tra Israele e Palestina appare sempre più compromessa, un tema centrale emerso in un recente confronto tra Lorenzo Cremonesi, inviato del Corriere della Sera in Medio Oriente, l’esperto Gilles Kepel e lo storico israeliano Benny Morris. La “religiosizzazione” del conflitto, come evidenziato da Cremonesi, rappresenta una barriera significativa, esacerbata dagli eventi del 7 ottobre, quando Hamas ha radicalmente alterato il panorama negoziale, rivendicando una visione di Palestina che esclude la convivenza con Israele.Benny Morris, pur criticando le politiche di Netanyahu, condivide la diagnosi di Cremonesi, pur attribuendola a dinamiche differenti, sottolineando la mancanza di una reale volontà palestinese verso la pace nel corso della storia. A complicare ulteriormente il quadro, la presenza di circa 700.000 coloni israeliani in Cisgiordania, un insediamento che rende la creazione di uno Stato palestinese indipendente un’impresa sempre più ardua.Un elemento cruciale nel sostenere la tenuta di Hamas è stato, per anni, il sistema di finanziamento qatariota, stimato in milioni di dollari mensili. Gilles Kepel ha illustrato come questa ingente somma, apparentemente tollerata o ignorata da Israele, abbia contribuito a rafforzare l’organizzazione. Il massacro del 7 ottobre ha inevitabilmente messo in discussione la sostenibilità di questo meccanismo, aprendo interrogativi sulle implicazioni geopolitiche e umanitarie del conflitto.Riguardo alla situazione a Gaza, Benny Morris ha espresso una convinzione ferma: Netanyahu perseguirà la distruzione di Hamas, agendo secondo le linee guida dichiarate a più riprese. Questa determinazione, però, si scontra con le conseguenze devastanti per la popolazione civile e alimenta un ciclo di violenza senza fine.Le dinamiche interne alla società israeliana sono state delineate da un recente sondaggio che rivela un sentiment pubblico preoccupante: l’80% degli israeliani è favorevole all’espatrio forzato della popolazione di Gaza, mentre una significativa minoranza (56%) auspicava, ancor prima degli eventi attuali, un trasferimento di arabi con cittadinanza israeliana fuori dal paese. Questi dati, oltre a riflettere un clima di paura e rabbia, sollevano profonde questioni etiche e legali sulla natura dello Stato israeliano e sul suo futuro.Un altro incontro pubblico ha visto Benny Morris oggetto di contestazioni da parte di manifestanti palestinesi, un episodio che, nonostante la tensione iniziale, si è risolto pacificamente con l’intervento della polizia. Questo scambio di opinioni, pur breve, ha evidenziato la polarizzazione del dibattito e la difficoltà di trovare un terreno comune.Il conflitto israelo-palestinese non è solo una disputa territoriale, ma un intreccio complesso di fattori politici, religiosi, economici e sociali. La ricerca di una soluzione duratura richiede un’analisi approfondita delle cause profonde del conflitto, un impegno sincero verso il dialogo e la comprensione reciproca, e la volontà di affrontare le ingiustizie passate e presenti. La prospettiva di una pace stabile e duratura appare al momento offuscata da una spirale di violenza e radicalizzazione, che richiede un’azione urgente e coraggiosa da parte di tutti gli attori coinvolti.
Soluzione bi-statale Israele-Palestina: un futuro compromesso?
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