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lunedì 27 Ottobre 2025

Trieste, Campanile condannato: 17 anni per le morti sul 118

La sentenza d’appello emessa dalla Corte d’Assise d’appello di Trieste ha segnato una tappa significativa in uno dei casi giudiziari più sconvolgenti degli ultimi anni: la condanna a 17 anni e 3 mesi di reclusione per Vincenzo Campanile, ex anestesista del 118, accusato di aver causato la morte di nove anziani vulnerabili attraverso iniezioni di potenti sedativi somministrati durante interventi di soccorso domiciliare.

La pena inflitta rappresenta un incremento rispetto alla condanna di primo grado, fissata a 15 anni e 7 mesi, a testimonianza di una valutazione più severa della gravità delle azioni perpetrate.

Il processo d’appello ha portato a una riforma parziale della sentenza precedente, riconoscendo Campanile colpevole di omicidio volontario in sette dei nove casi contestati.
Un elemento cruciale in questa decisione è stato il rigetto dell’attenuante relativa a presunti motivi di particolare valore morale o sociale che avrebbero potuto influire sulla quantificazione della pena.
Questo rifiuto sottolinea la percezione da parte della Corte dell’assenza di una giustificazione valida per l’utilizzo letale di farmaci in contesti di assistenza sanitaria.

Le morti che hanno dato inizio a questa drammatica vicenda risalgono a un arco temporale compreso tra novembre 2014 e gennaio 2018.

Le vittime, tutte persone anziane affette da patologie preesistenti, presentavano un’età compresa tra i 75 e i 90 anni.
L’inchiesta, scaturita inizialmente dalla morte di Mirella Michelazzi, soccorsa in una residenza per anziani e a cui era stato somministrato Propofol, ha portato alla luce un quadro allarmante di altre otto morti sospette, ognuna caratterizzata da somministrazioni di farmaci potenzialmente letali in condizioni di evidente vulnerabilità.
La segnalazione da parte dei colleghi di Campanile, insospettiti dalla gestione clinica del caso Michelazzi, si è rivelata determinante per l’avvio delle indagini.
La decisione dell’appello ha anche affrontato la questione della responsabilità dell’Azienda Sanitaria Universitaria Giuliano Isontina, precedentemente condannata in primo grado a risarcire i danni ai familiari delle vittime.

L’appello presentato dall’azienda è stato respinto, mantenendo inalterata la responsabilità in solido.

La decisione, sebbene dolorosa per i congiunti, offre una luce di chiarezza e di giustizia, riconoscendo la perdita subita dai loro cari.

“Con questa sentenza, si fa luce sulla morte dei miei assistiti,” ha dichiarato l’avvocato Antonio Santoro, che rappresenta quattro famiglie di vittime, sottolineando la necessità di un’attenta analisi delle motivazioni che hanno guidato la decisione della Corte, per comprendere appieno i passaggi e le argomentazioni che ne hanno determinato l’esito.
La lunga camera di consiglio, durata quasi un giorno intero, testimonia la complessità del caso e l’importanza della decisione presa, che segna un punto fermo nella tutela della dignità e della vita dei più vulnerabili.
Il processo, purtroppo, non può cancellare il dolore e la perdita, ma può contribuire a prevenire che simili tragedie si ripetano in futuro, rafforzando i controlli e i protocolli di sicurezza all’interno del sistema sanitario.

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