La persistenza di una crisi umanitaria complessa si manifesta con inequivocabile continuità a Trieste, un nodo cruciale lungo la rotta balcanica.
Le cifre, rivelate da Gianfranco Schiavone, presidente del Consorzio Italiano di Solidarietà durante il convegno “Un sussulto di dignità” organizzato da Amec, dipingono un quadro allarmante: circa 250 individui, perlopiù vulnerabili e privi di assistenza, si trovano in una condizione di precarietà e marginalità.
Il convegno, giunto alla sua terza edizione, si propone come un momento di riflessione e di presa di coscienza sulla drammatica realtà dell’accoglienza e dell’integrazione dei migranti.
La denuncia di Schiavone non si limita alla constatazione dei numeri, ma evidenzia le radici profonde del problema.
Le disfunzioni strutturali, radicate in anni di gestione inadeguata, e un atteggiamento istituzionale, spesso caratterizzato da inerzia e mancanza di visione strategica, hanno contribuito a perpetuare una situazione insostenibile.
L’ultimo trasferimento di persone dai magazzini abbandonati del Porto Vecchio, un evento che avrebbe dovuto rappresentare una soluzione temporanea, si è rivelato ancora più problematico rispetto alle precedenti azioni intraprese.
La decisione di lasciare una parte significativa dei migranti senza assistenza, un gesto apparentemente privo di logica e di compassione, solleva interrogativi inquietanti sulle reali intenzioni e sulle priorità delle autorità coinvolte.
Questo atto, come sottolinea Schiavone, non solo aggrava la sofferenza immediata dei migranti, ma mina anche la fiducia nella capacità del sistema di accoglienza di garantire dignità e protezione.
La domanda cruciale che emerge è: perché questa scelta, apparentemente controproducente e disumana, è stata fatta? La risposta, probabilmente, risiede in una combinazione di fattori, tra cui la pressione politica, la scarsità di risorse e la mancanza di una reale volontà di affrontare il problema alla radice.
L’appello del Vescovo di Trieste, Monsignor Enrico Trevisi, si pone come un monito per tutti: è imperativo superare le divisioni, promuovere il dialogo e, soprattutto, esercitare la compassione verso coloro che si trovano in difficoltà.
La cura per i migranti, come per ogni essere umano che soffre, non è un atto di carità occasionale, ma un dovere morale e civico, un’espressione concreta della nostra umanità.
È necessario un cambio di paradigma, un passaggio da una logica di gestione emergenziale a un approccio basato sulla prevenzione, l’integrazione e la promozione dei diritti fondamentali.
Solo così sarà possibile trasformare una crisi umanitaria in un’opportunità di crescita sociale e culturale per l’intera comunità triestina.
L’accoglienza non deve essere percepita come un onere, ma come un investimento nel futuro, un atto di solidarietà che arricchisce il tessuto sociale e promuove la costruzione di una società più giusta e inclusiva.
La sfida è complessa, ma non insormontabile, a patto di abbandonare le resistenze ideologiche e di abbracciare un’etica di responsabilità e di compassione.






