Nel cuore pulsante di Trieste, la centralissima Piazza della Borsa si è trasformata in un palcoscenico silenzioso di protesta.
Un atto di civico coraggio e profonda compassione ha visto cittadini e famiglie, molti con bambini al seguito, distendersi a terra, in una posa che evocava la fragilità e la vulnerabilità della popolazione di Gaza.
L’azione, orchestrata dal Comitato promotore e sostenitori della manifestazione del 27 maggio, mirava a risvegliare le coscienze e a sollecitare un intervento immediato per alleviare le sofferenze di una comunità assediata.
L’iniziativa, che ha catturato l’attenzione di residenti e turisti, non è stata un semplice flash mob, ma un tentativo tangibile di tradurre in azione l’angoscia per le immagini di distruzione e disperazione provenienti dalla Striscia di Gaza.
Cartelli esplicativi, posizionati strategicamente ai margini della piazza, fornivano un quadro conciso della gravità della situazione umanitaria, mentre le voci dei manifestanti, sussurrando numeri di vittime e raccontando storie di privazioni, rendevano palpabile la portata della tragedia.
Il silenzio, interrotto solo dal pianto sommesso di alcuni bambini e dalle parole di Mirta Sibilia, rappresentante delle associazioni promotrici, ha amplificato il messaggio di protesta.
“I bambini non devono essere toccati,” ha affermato Sibilia, esprimendo una condanna ferma e inequivocabile contro le sofferenze inflitte all’infanzia palestinese.
La richiesta di accesso sicuro e ininterrotto di acqua potabile, aiuti alimentari e assistenza sanitaria non è stata presentata come un atto di carità, ma come un imperativo morale e un diritto umano fondamentale.
La protesta, tuttavia, andava oltre la semplice richiesta di soccorso umanitario.
Il volantino distribuito in piazza denunciando “la volontà criminale del governo israeliano di scacciare il popolo palestinese dalle sue terre”, evidenziava una preoccupazione più profonda: la questione del diritto all’autodeterminazione e la protezione della popolazione civile in un contesto di conflitto armato.
L’atto di protesta triestino, pur localizzato, si configurava come un grido di sdegno rivolto alla comunità internazionale, invocando una revisione delle politiche occidentali e un impegno più incisivo per la pace e la giustizia.
L’invito rivolto a coloro che non condividevano la posizione dei manifestanti non era un atto di sfida, ma un desiderio genuino di dialogo e di costruzione di un futuro in cui la dignità umana e il rispetto dei diritti fondamentali siano universali e inviolabili, liberando Gaza dall’ombra della sofferenza e della disperazione.
Il silenzio dei corpi stesi a terra, in un gesto di profonda umanità, risuonava come un monito: l’indifferenza non è più un’opzione.