In un’ora che si fa specchio delle più profonde ferite del nostro tempo, la comunità di Trieste si erge come baluardo di speranza, animata da un desiderio ardente di riconciliazione e di un futuro condiviso.
La lettera del vescovo Enrico Trevisi, rivolta al Rabbino Capo Eliahu Alexander Meloni e al presidente della comunità Islamica Akram Omar, trascende il semplice messaggio di conforto, configurandosi come un appello solenne a un impegno collettivo per la costruzione di un’era di pace.
Il peso delle sofferenze recenti, la perdita di vite innocenti, i lutti che hanno segnato il conflitto israelo-palestinese, gettano un’ombra palpabile.
Tuttavia, la liberazione degli ostaggi e la conclusione delle operazioni militari a Gaza offrono un’opportunità preziosa, un punto di svolta che impone una riflessione profonda e un cambio di rotta.
La gioia condivisa, che unisce cattolici, ebrei e musulmani, non è un’euforia superficiale, ma un sentimento autentico che nasce dalla consapevolezza di una comune umanità, vulnerabile e bisognosa di protezione.
È un riconoscimento del fatto che la pace non è un traguardo statico da raggiungere, ma un processo dinamico, un cammino arduo e costante che richiede dedizione, coraggio e la capacità di superare le divisioni.
Il vescovo Trevisi invita a perseverare nella preghiera, invocando il Dio di Abramo, figura di riferimento per le tre monoteistiche religioni, affinché sostenga gli sforzi di tutti coloro che aspirano alla riconciliazione.
La pace, infatti, non si manifesta per decreto, ma attraverso l’apporto positivo e attivo di ogni singolo individuo, ognuna delle sue azioni, dei suoi pensieri, delle sue parole.
Si sottolinea l’importanza di creare e sostenere spazi di confronto e dialogo a Trieste, città multiculturale e ponte tra mondi diversi.
È essenziale promuovere un arricchimento reciproco, valorizzando le identità differenti pur perseguendo un bene comune più ampio.
Il dialogo non è un semplice esercizio di tolleranza, ma un motore di crescita spirituale e civile, capace di costruire ponti dove prima esistevano muri.
Il sostegno ai politici, chiamati ad assumersi le proprie responsabilità, è cruciale, ma deve essere affiancato da un incoraggiamento al coraggio e all’audacia necessari per esplorare nuove vie di convivenza, vie che guardino al futuro con speranza e fiducia.
L’incontro serale al Santuario di Monte Grisa si configura come un momento di raccoglimento e di rinnovamento spirituale, un invito a meditare sulle sofferenze del mondo e a impegnarsi concretamente per un futuro di pace e di riconciliazione.
È un atto di fede nella possibilità di un’umanità diversa, capace di superare le divisioni e di costruire un mondo più giusto e fraterno.
La speranza, in questo contesto, non è un’illusione, ma una forza motrice che ci spinge ad agire, a perseverare e a non arrendersi mai.






