La ricerca di un figlio perduto, un’eredità sospesa nel tempo e un mistero che si estende tra continenti: questa è la vicenda umana che ha recentemente riacceso l’attenzione del pubblico italiano, grazie alla trasmissione “Chi l’ha visto?” e alla successiva eco mediatico.
La storia, già affrontata in passato, si concentra sulla ricerca di un uomo nato a Trieste nel 1958, figlio di un guianese, Malcom, deceduto durante la pandemia di COVID-19, e di una giovane donna triestina, legati da una breve e intensa relazione nata a Londra.
Un legame mai ufficializzato, che ha lasciato un figlio cresciuto senza riconoscimento paterno e una madre, residente in Svezia, desiderosa di ricongiungersi a lui e di garantire la trasmissione di un’eredità in scadenza.
La complessità del caso risiede non solo nella mancanza di informazioni certe sull’identità dell’uomo, oggi 67enne, ma anche nell’intreccio di ipotesi che si dipanano in un contesto storico e geografico ampio.
La relazione tra Malcom e la donna triestina, sbocciata a Londra, rappresenta il punto di partenza di un percorso segnato da silenzi, misteri e incertezze.
L’assenza di un riconoscimento legale ha privato il figlio di un’identità ufficiale, lasciandolo sospeso in una condizione di incertezza e privazione.
Le indagini, riprese dalla trasmissione “Chi l’ha visto?” e successivamente riproposte, hanno portato a considerare Padova come un possibile luogo in cui l’uomo potrebbe aver stabilito una nuova residenza.
Questa ipotesi, unita alla possibilità di un’adozione o alla mera sbiaditura dei ricordi di Malcom, alimenta un ventaglio di scenari possibili, rendendo la ricerca ancora più ardua.
L’assenza del nome e del cognome della madre triestina complica ulteriormente l’indagine, lasciando solo qualche fotografia dei primi mesi di vita del bambino e un nome, potenzialmente “Michele” o “Michael”, scritto sul retro di una di queste immagini.
La questione assume un’urgenza specifica a causa della scadenza imminente per la rivendicazione dell’eredità, fissata al 31 dicembre.
La moglie svedese, motore di questa ricerca, sottolinea l’importanza di ricongiungersi al figlio non solo per motivi affettivi, ma anche per garantire la corretta gestione del patrimonio ereditario.
La vicenda solleva interrogativi profondi sulla natura della paternità, sull’importanza del riconoscimento legale e sul diritto di conoscere le proprie origini.
Al di là dell’aspetto economico dell’eredità, la ricerca rappresenta un viaggio alla scoperta di un’identità perduta, un tentativo di ricostruire un legame affettivo interrotto e un’occasione per colmare un vuoto generazionale.
La speranza, sostenuta dalla pubblicità mediatica e dalla perseveranza della madre, è che qualcuno possa fornire informazioni utili, svelando il mistero e restituendo a quest’uomo la possibilità di conoscere la sua storia e la sua famiglia.







