domenica 7 Settembre 2025
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Cinema e Resistenza: L’obiettivo che testimonia l’ingiustizia.

Il potere narrativo, l’occhio che testimonia, risiede oggi nelle mani di coloro che si ergono contro l’ingiustizia, dei portavoce delle voci silenziate, degli oppressi.
La macchina da presa, in questo senso, non è più uno strumento neutrale, ma un’arma di resistenza, un faro che illumina le zone d’ombra del nostro tempo.
Pensiamo alla Palestina, dove il genocidio si consuma sotto l’obiettivo, all’Ucraina, lacerata dalla guerra, a Calais, dove la disperazione dei rifugiati si scontra con la brutalità delle forze dell’ordine.

E ancora, a Los Angeles, dove i raid dell’ICE strappano famiglie e speranze.

Céline Sciamma, regista di straordinaria sensibilità, ha espresso con forza queste riflessioni nel suo discorso di accettazione del Premio Sergio Amidei.

Il cinema di finzione, pur possedendo un’abilità sempre maggiore nel creare mondi illusori a cui siamo disposti a credere, è intrinsecamente limitato.

Nato e cresciuto nel ventre del capitalismo, dell’industrializzazione e dei conflitti globali – siano essi mondiali o coloniali – si trova a navigare un mare di contraddizioni.

Per Sciamma, un linguaggio che si fa all’interno di un’industria, inevitabilmente, fatica a concepire alternative radicali, a immaginare un futuro diverso.

Tracciare una via d’uscita, una rotta di rivolta, diventa arduo, quasi impossibile, se si cede alla seduzione della convenienza.
Il cinema, paradossalmente, si dibatte costantemente per preservare il proprio modello economico, una lotta che lo distrae, lo logora, impedendogli di esplorare appieno il suo potenziale.

È comprensibile questa condizione, ma se l’umanità dovesse estinguersi, cosa rimarrebbe? Il cinema.
Un archivio impietoso, una cronaca dettagliata di ciò che ci ha condotto alla scomparsa.

In questo senso, Sciamma ha voluto omaggiare le figure seminali della fantascienza femminista: Mary Shelley, Octavia Butler, Ursula K.
Le Guin, Françoise d’Eaubonne, Anna Rinonapoli – autrici visionarie le cui opere, purtroppo, sono state raramente trasposte in forma cinematografica.

Queste autrici, attraverso la potenza dell’immaginario, hanno saputo esplorare le profondità dell’essere umano, i pericoli del potere, le potenzialità di un futuro diverso.
Il loro silenzio nel panorama cinematografico è una perdita, un’occasione mancata per ampliare la nostra comprensione del mondo e per immaginare nuovi orizzonti.
La loro eredità ci invita a riflettere sul ruolo del cinema come strumento di resistenza, di memoria e di speranza, un mezzo per dare voce a chi non ce l’ha e per illuminare i sentieri verso un futuro più giusto.
Il cinema, dunque, deve superare i propri limiti intrinseci, liberandosi dalle catene dell’industria, per diventare realmente un atto di ribellione, un’esplorazione coraggiosa delle possibilità dell’esistenza.

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