Laszlo Krasznahorkai, un’ombra che danza tra Vienna, Trieste e le radici ungheresi, incarna un’enigmatica presenza nel panorama letterario mitteleuropeo.
Più che una figura definita, si rivela come una suggestione, un’eco che risuona tra le strade di città affascinanti, quasi a dissolversi nell’aria stessa che le pervade.
La sua esistenza a Trieste, città crocevia di culture e di storie, è avvolta in un alone di mistero: una casa, forse nei pressi della sinagoga, qualche apparizione fugace alla Libreria Lovat, e poi, il silenzio.
Tommaso Lovat, libraio e testimone di queste rare occasioni, lo ricorda con affetto, come un uomo piacevole e distaccato.
Un breve soggiorno, pochi anni or sono, per una firma autografa: la lingua preferita, l’inglese, barriera sottile tra lui e la comunità triestina.
Un colloquio informale, poche parole, un cenno di approvazione sulla città, un sorriso enigmatico.
La sua assenza di promozione letteraria a Trieste appare incongruente, quasi una sfida.
Cercarlo significa inseguire un’illusione, una traccia evanescente.
Solo un articolo del “Piccolo”, cinque anni prima, aveva osato sondare le profondità del suo pensiero: una sentenza lapidaria, una dichiarazione di fede nella poesia come unica via per sopportare la verità, seguita da un silenzio che pesa come un macigno.
Luigi Tassoni, professore di italianistica a Pécs e conoscitore del complesso universo letterario ungherese, non ha mai avuto l’opportunità di incontrarlo di persona, nonostante vivano a brevissima distanza a Budapest.
La sua opera, tuttavia, è un terreno fertile per l’analisi e la riflessione.
Un lungo periodo trascorso in Cina e in altri paesi dell’Est ha inevitabilmente influenzato la sua scrittura, riversandosi nelle ambientazioni e nei temi dei suoi racconti.
Si narra che possieda una solida conoscenza del tedesco, pur non raggiungendo la maestria di Imre Kertész, anch’egli acclamato con il Nobel.
Un passato berlinese, forse, ha contribuito a plasmare la sua visione del mondo, arricchendo la sua sensibilità e affinando il suo sguardo critico.
Krasznahorkai si presenta quindi non come un autore da comprendere attraverso la biografia, ma come una voce sedimentata nel tempo e nello spazio, un’esperienza letteraria da vivere e da assimilare, un enigma che stimola la riflessione sulla condizione umana e sulla natura della verità.
La sua elusività non è un difetto, ma una caratteristica intrinseca, un invito a guardare oltre le apparenze e a scavare più a fondo nel labirinto delle emozioni e delle idee.
Un artista che preferisce rimanere nell’ombra, lasciando che le sue opere parlino per lui, sussurrando storie inquietanti e profonde a chi è disposto ad ascoltare.