Machiedo: Un Ponte Tra Italia e Jugoslavia, Tra Poesia e Memoria.

Mladen Machiedo, un nome che incrocia i confini culturali, è molto più di un semplice studioso.

È un ponte, un traghettatore silenzioso che ha veicolato la letteratura italiana attraverso le acque intricate dell’ex Jugoslavia.

Nato a Zagabria nel 1938, questo croato di origine portoghesi – il cognome “Macedo” ne è testimonianza – ha dedicato la sua vita a decifrare e diffondere la ricchezza del canone italiano, da Montale a Calvino, da Pavese a Campana.
La sua storia personale si rivela attraverso un documentario, “La quotidianità non ordinaria di un italianista croato”, un ritratto intimo che svela un universo di incontri, riflessioni e passioni.
Machiedo non è un critico nel senso tradizionale del termine; è un testimone privilegiato, un commensale segreto che ha condiviso tavoli improvvisati e conversazioni illuminanti con alcuni dei più grandi scrittori italiani del Novecento.
Ricorda con affetto la cena su un’asse da stiro a casa di Andrea Zanzotto, un episodio che racchiude l’essenza del rapporto che lo legava al poeta: un’apparente semplicità, un rifiuto della formalità, un’attenzione meticolosa per i dettagli più minuti.
Zanzotto, per Machiedo, era un esploratore del linguaggio, un uomo capace di distillare l’ignoto attraverso l’analisi acuta di molecole verbali, una concentrazione quasi ossessiva che lo portava a scomporre il significato in frammenti apparentemente insignificanti.

La figura di Eugenio Montale emerge come un faro nella sua vita intellettuale.
Il soprannome “Eusebio” e l’atteggiamento giocoso, quasi pirandelliano, incarnano una lezione duratura: la necessità di non prendersi troppo sul serio.
L’immagine del poeta milanese assediato dai giornalisti dopo l’assegnazione del Premio Nobel, rifiutando ogni forma di celebrazione pubblica, riflette un’umiltà che colpisce e ammire.

Machiedo, in quanto suo traduttore, ha avuto l’opportunità di accedere a un universo privato, di cogliere sfumature e sottigliezze che sfuggono al pubblico.
Il suo percorso lo ha condotto a incontrare figure emblematiche, come Giuseppe Zigaina, un artista legato a Pier Paolo Pasolini da un’amicizia profonda e tormentata.
La scoperta, durante una visita nello sgabuzzino dell’artista friulano, di un ambiente completamente immerso nell’opera di Pasolini, ha rivelato un uomo versatile e profondamente modesto.
Anche Ruggero Jacobbi emerge come una figura di spicco, un intellettuale di genio, spesso sottovalutato ma non meno brillante di Umberto Eco.

La metodologia di lavoro di Machiedo è un atto di resistenza alla frenesia digitale contemporanea.

Scrive a mano, trascrive i testi a macchina e affida a una collaboratrice il compito di digitalizzarli.

Questa catena di passaggio, apparentemente inefficiente, è un tentativo di preservare l’aura del testo, di rallentare il processo di comprensione.
Si definisce erede dei modernismi, un uomo datato che si confronta inevitabilmente con la brevità e la frammentazione dei postmoderni.

Lontano dall’acidità di Gadda, si sente più vicino all’eccentricità di Alberto Savinio.

La sua padronanza di quattro lingue, acquisita in parte grazie alle canzoni di Sanremo, gli permette di tradurre e interpretare la letteratura italiana da una prospettiva unica.

“La quotidianità non ordinaria di un italianista croato” è un progetto frutto di una collaborazione tra la Comunità croata di Trieste, curata da Cristina Bonadei e diretta da Matteo Prodan, un omaggio a un uomo che ha dedicato la sua vita a costruire ponti tra culture, a preservare la memoria di un’epoca e a celebrare la bellezza del linguaggio.

- pubblicità -
- Pubblicità -
- pubblicità -
Sitemap