La gravità degli eventi verificatisi nel Centro di Permanenza per i Rimpatri (CPR) di Gradisca richiede un’indagine approfondita e trasparente, che vada oltre la semplice constatazione e si concentri sulle responsabilità strutturali e operative che hanno portato a una situazione di inaccettabile degrado.
La recente visita ispettiva ha confermato un quadro allarmante, rendendo urgente una revisione radicale del modello CPR, fino alla sua eventuale chiusura.
Le immagini diffuse dalla rete No CPR, documentando presunti episodi di violenza – un uomo inseguito e percosso da agenti in tenuta antisommossa, ritrovato poi a terra ferito – rappresentano una manifestazione particolarmente drammatica di un problema sistemico.
Non si tratta di un evento isolato, ma di una possibile, seppur terribile, conseguenza di un ambiente caratterizzato da tensioni, frustrazioni e condizioni di vita e di lavoro insostenibili.
L’interrogazione presentata con colleghi mirava a sollecitare il Governo e le istituzioni competenti a fare piena luce sull’accaduto e a predisporre misure preventive efficaci, tese a scongiurare il ripetersi di tali violazioni dei diritti umani.
Tuttavia, la semplice indagine non è sufficiente: occorre un cambiamento profondo.
La denuncia della responsabile Migrazioni del PD FVG e ex sindaca di Gradisca, Linda Tomasinsig, sottolinea come le condizioni di degrado strutturale e umano all’interno del CPR non siano recenti.
Proteste, atti vandalici e autolesionismo testimoniano un disagio latente, un grido d’aiuto proveniente da un contesto in cui la dignità umana è costantemente a rischio.
È necessario interrogarsi sulle modalità di gestione di queste strutture, che spesso si rivelano luoghi di marginalizzazione e sofferenza.
Le procedure di identificazione, accoglienza e assistenza ai migranti richiedenti protezione internazionale o soggetti a provvedimento di espulsione devono essere conformi ai principi costituzionali e alle convenzioni internazionali in materia di diritti umani.
Il fenomeno delle autolesionismo, in particolare, solleva interrogativi profondi sulla capacità del sistema di fornire un supporto psicologico adeguato a persone spesso traumatizzate da esperienze migratorie difficili e incerte.
La trasparenza e l’accesso alle informazioni sono cruciali per garantire la responsabilità delle istituzioni e il controllo democratico dell’azione amministrativa.
È necessario che i rappresentanti della società civile, i media e i garanti dei diritti possano monitorare le condizioni di vita nei CPR e segnalare eventuali abusi o violazioni.
Il caso di Gradisca non può essere considerato un evento isolato, ma deve rappresentare un campanello d’allarme per l’intero sistema di accoglienza e gestione dei flussi migratori.
È necessario un cambio di paradigma che metta al centro la persona, la sua dignità e i suoi diritti, abbandonando approcci securitari e gestionali che si sono dimostrati inefficaci e dannosi.