Nel contesto della detenzione, un episodio di violenza ha coinvolto Felice Maniero, figura storica della Mala del Brenta, durante il suo periodo trascorso nel carcere di Sollicciano.
L’uomo, già noto per una condanna di quattro anni inflitta per maltrattamenti nei confronti della sua ex compagna Marta Bisello, si è trovato nuovamente sotto accusa in un procedimento giudiziario celebrato presso il Tribunale di Firenze.
L’udienza, per garantire la sicurezza e l’ordine del processo, si è svolta in teleconferenza, con Maniero collegato da una sede protetta.
L’incidente, risalente a luglio 2020, si è verificato a seguito di una escalation di tensioni, circostanze comuni in ambienti carcerari dove la convivenza forzata può generare attriti e conflitti.
Secondo la versione fornita dall’imputato, la disputa sarebbe nata da divergenze legate all’utilizzo di un televisore da parte del compagno di cella, un collaboratore di giustizia originario della Puglia.
Maniero avrebbe percepito un disturbo eccessivo derivante dal volume troppo alto della televisione, unitamente a russate notturne ritenute moleste.
La situazione degenerò quando, a suo dire, Maniero reagì usando il telecomando del televisore come arma, causando al detenuto pugliese una frattura del setto nasale e contusioni.
La descrizione dell’evento, fornita dall’ex boss, presenta elementi che sollevano interrogativi sulla modalità e l’intensità della reazione, definita da Maniero stesso come un modo per “dare una mano” nel ridurre il volume.
Questo episodio, che si aggiunge alla pregressa condanna per maltrattamenti, amplifica il quadro di un individuo con una propensione alla violenza, anche all’interno di un ambiente già di per sé segnato dalla privazione della libertà.
Il processo, che si è svolto a distanza, evidenzia anche le complesse sfide legate alla gestione della giustizia penale, soprattutto quando coinvolge figure di rilievo criminale, richiedendo misure di sicurezza e protocolli speciali per garantire la regolarità del procedimento e la protezione degli attori coinvolti.
La vicenda solleva, inoltre, riflessioni più ampie sulla dinamica dei rapporti interpersonali in contesti di detenzione e sulle possibili cause di escalation in situazioni di convivenza forzata.