L’alba di oggi ha segnato il culmine di una tensione latente nel territorio vicentino, con lo sgombero forzato di un’occupazione autogestita da parte delle forze dell’ordine.
Da mesi, un collettivo di attivisti riconducibile al centro sociale “Bocciodromo” aveva riconquistato uno spazio boschivo, situato in prossimità del tracciato destinato alla linea ferroviaria Alta Velocità Torino-Lione.
Quel che era iniziato come una rivendicazione di resistenza, si è trasformato in un microcosmo di vita comunitaria, con la costruzione di strutture in legno rudimentali – torri di osservazione, ripari temporanei – e l’organizzazione di turni di guardia notturna, testimonianza di una volontà di permanenza e di difesa del territorio.
L’operazione, iniziata alle prime ore del mattino, ha visto il coinvolgimento di un vasto dispositivo di sicurezza coordinato: carabinieri provenienti da Padova, personale della polizia locale, unità scientifiche e vigili del fuoco, a significare la delicatezza e la sensibilità politica dell’evento.
La resistenza degli occupanti, inaspettata e determinata, si è concretizzata in azioni di disobbedienza civile, tra cui l’incatenamento a un cancello, un gesto simbolico che ha immediatamente polarizzato l’attenzione mediatica e amplificato le divergenze ideologiche in campo.
La presenza di una minore tra i manifestanti ha ulteriormente complicato la situazione, ponendo la Questura di fronte a scelte eticamente delicate e aumentando la pressione sull’operazione di sgombero.
Dopo un tentativo di trattativa, mirato a convincere gli occupanti a lasciare pacificamente l’area, una parte dei manifestanti ha obbedito alle richieste delle autorità, mentre gli altri, decisi a non cedere, si sono barricati nelle strutture autogestite, sfidando così la forza di contrasto delle forze dell’ordine.
L’episodio solleva interrogativi profondi sulla complessità dei rapporti tra sviluppo infrastrutturale, tutela ambientale e diritti di resistenza.
La vicenda trascende la semplice questione di un’occupazione abusiva, incarnando una più ampia contesa tra chi vede nel progetto ferroviario un motore di progresso economico e chi lo percepisce come una minaccia per l’ambiente, le comunità locali e un modello di sviluppo alternativo.
La reazione degli attivisti, la loro determinazione a resistere e l’utilizzo di strategie di disobbedienza civile evidenziano un profondo senso di frustrazione e un desiderio di partecipazione attiva nel processo decisionale che riguarda il futuro del territorio.
Lo sgombero forzato, con la conseguente esposizione mediatica e le implicazioni legali, lascia dietro di sé una ferita aperta e alimenta una spirale di conflitto destinata a persistere nel tempo.