La comunità di Favara, e l’Italia intera, è ancora sospesa nel dolore e nell’angoscia per la scomparsa di Marianna Bello, la giovane madre di tre figli, inghiottita dalle acque impetuose di un violento temporale.
A distanza di diciotto giorni dall’evento tragico, la famiglia, attraverso la sorella Flavia Bello, il marito Renato Salamone e il legale, l’avvocato Salvatore Cusumano, ha interrotto il silenzio con un appello carico di speranza e di un profondo senso di ingiustizia.
Il dolore per la perdita è inestricabilmente legato alla necessità di comprendere le circostanze che hanno portato a questa catastrofe, e a individuare eventuali responsabilità.
La famiglia, pur ringraziando le forze militari e civili impegnate nelle operazioni di ricerca, ha espresso la ferma richiesta di non interrompere gli sforzi di recupero al termine dei venti giorni previsti, un limite temporale percepito come artificiale e insensibile alla profondità del dolore.
L’appello è rivolto alle massime cariche dello Stato: Presidente della Repubblica, Presidente del Consiglio, Ministro dell’Interno, e in particolare al Prefetto, affinché si dimostri sensibile alla situazione e garantisca la continuità delle operazioni.
La dignità di Marianna, il diritto dei suoi figli di poterla piangere in un luogo certo, sono valori che superano qualsiasi limite burocratico.
L’avvocato Cusumano richiama un precedente significativo avvenuto a Sciacca, dove le ricerche sono state protratte oltre i venti giorni, sottolineando come l’abbandono prematuro delle operazioni rappresenterebbe una negazione di speranza e un’ingiustizia nei confronti della famiglia.
La richiesta di approfondimento delle indagini non si limita alla ricerca del corpo, ma si estende alla verifica dell’efficacia del sistema di allerta meteo.
Il sospetto è che l’allerta “gialla” potesse essere, in realtà, un segnale di pericolo più grave, un “rosso” mascherato.
Parallelamente, si intende accertare la corretta manutenzione del convogliatore d’acqua piovana, infrastruttura che, a detta della famiglia, potrebbe aver contribuito all’evento tragico.
Un sistema adeguatamente mantenuto, si presume, avrebbe potuto mitigare, se non evitare, la furia delle acque.
La famiglia annuncia l’intenzione di presentare un esposto formale, una volta concluse le ricerche, per individuare i responsabili diretti o indiretti di questa immane tragedia.
L’azione legale non è intesa come una ricerca di vendetta, ma come un atto di giustizia per Marianna, per i suoi figli, e per l’intera comunità, al fine di evitare che simili eventi possano ripetersi.
La costituzione di parte civile in un eventuale processo rappresenta la volontà di perseguire la verità e di ottenere un risarcimento adeguato per i danni subiti.
L’intera vicenda solleva, inoltre, interrogativi cruciali sulla gestione del rischio idrogeologico e sulla necessità di investimenti mirati alla prevenzione di disastri naturali, al fine di tutelare la vita e la sicurezza dei cittadini.