La perdita di Lorusso e Cutugno, detenuto pugliese di 50 anni deceduto improvvisamente nel carcere di Torino, solleva complesse questioni di salute, dignità umana e gestione del sistema penitenziario italiano.
Il decesso, avvenuto a seguito di un arresto cardiaco, è un tragico epilogo di una vicenda che ha visto il detenuto, con un peso di circa 265 chili, al centro di un percorso migratorio all’interno del sistema carcerario, dettato da esigenze mediche e da una crescente difficoltà a garantire standard minimi di vivibilità.
La pena che scontava, protratta fino al 2040 per reati di truffa, lo aveva inizialmente condotto nel carcere di Marassi, a Genova.
La successiva assegnazione alla casa circondariale di Cuneo si è rivelata impraticabile a causa della mancanza di una struttura adeguata alle sue condizioni fisiche.
Questo ha innescato una situazione paradossale: l’impossibilità di accoglierlo all’interno di un istituto penitenziario ha costretto il sistema a ricorrere all’ospitalità del pronto soccorso dell’ospedale Santa Croce, dove è rimasto piantonato incessantemente da agenti di polizia penitenziaria.
L’evento ha immediatamente scatenato un acceso dibattito, amplificato dalle contestazioni del sindacato autonomo di polizia penitenziaria (Osapp), che ha evidenziato l’onere di dieci agenti impiegati quotidianamente per garantire la sua sorveglianza, risorse sottratte a un personale già gravato da carenze strutturali e numeriche all’interno della casa circondariale cuneese.
Questa critica mette in luce una problematica più ampia: la gestione delle patologie croniche e dell’obesità all’interno delle carceri, un ambito spesso trascurato con ripercussioni significative sul personale penitenziario e sui detenuti stessi.
La decisione del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (DAP) di trasferirlo a Torino, dove era stata realizzata una cella appositamente progettata, suggerisce un tentativo di trovare una soluzione più sostenibile.
Tuttavia, la tragica conclusione sottolinea come l’adeguamento delle infrastrutture da solo non possa risolvere la complessità della gestione della salute dei detenuti, una responsabilità che richiede un approccio multidisciplinare che coinvolga personale medico, psicologico e assistenziale.
Il caso solleva interrogativi cruciali sulla capacità del sistema penitenziario italiano di garantire la dignità e la salute dei detenuti con esigenze mediche complesse, richiedendo una profonda riflessione sulle risorse disponibili, sulla formazione del personale e sull’efficacia dei protocolli di assistenza sanitaria in ambiente carcerario.
La morte di Lorusso e Cutugno non deve essere dimenticata, ma piuttosto costituire un punto di partenza per un cambiamento sistemico volto a migliorare le condizioni di vita e la tutela della salute all’interno delle carceri.








