14 novembre 2024 – 13:45
Durante molti anni della mia vita, ho vissuto l’incubo di non riuscire a trovare pace durante la notte. Il terrore mi assaliva, mi svegliavo di soprassalto gridando, mentre gli incubi si insinuavano nella mia mente e mi tormentavano senza tregua. L’esperienza di aver sfiorato la morte da così vicino, dopo essere stato brutalmente picchiato fino a svenire ripetutamente con una pistola puntata alla testa, ha lasciato un segno profondo dentro di me, un’impronta indelebile che si è radicata nell’anima. Anche se il tempo è trascorso e cerco di distrarmi con altri pensieri, quella paura rimane viva in me.Giuseppe Pastore, conosciuto da tutti come Beppe, ha recentemente festeggiato il suo centesimo compleanno diventando forse l’ultimo testimone dei tragici eventi legati alla tortura inflitta dai nazisti a Torino. Rinchiuso prima nell’ex albergo Nazionale in piazza Cln e poi nelle carceri delle Nuove, Beppe ha resistito alle pressioni delle SS che cercavano di estorcergli informazioni sui suoi compagni di lotta senza mai cedere.Un giorno l’Associazione Nessun uomo è un’isola mi ha chiesto se fossi disposto a condividere la mia storia con i visitatori e gli studenti che frequentano il museo Le Nuove situato nel vecchio carcere. Dopo l’Armistizio dell’8 settembre, tornai a Torino e trovai rifugio sulle montagne di Coazze presso una zia.A soli 18 anni ero giovane e spavaldo, decisi insieme a un amico di entrare nella caserma Cavalli scavalcando il muro per ottenere ciò che desideravamo. Era il pomeriggio del 26 settembre 1943 quando camminavo per via Monte Rosa vicino a casa mia e fui fermato da due uomini in borghese su una macchina che mi chiamarono per nome ordinandomi di salire perché erano della polizia.Mi colpirono ripetutamente con calci e pugni mentre ero costretto ad alzare le braccia contro il muro, perdendo spesso i sensi per i colpi ricevuti. Non riuscivo più a camminare né a vedere chiaramente per via dei gonfiori agli occhi causati dai pugni ricevuti. La violenza continuava senza tregua.Un giorno un maresciallo tedesco mi condusse in un sottoscala minacciandomi con una pistola puntata contro il petto. Successivamente fui incaricato da un soldato tedesco di svolgere compiti domestici come lavare i pavimenti e portare acqua ai prigionieri anziché subire ulteriori torture.La mia madre venne a conoscenza della mia prigionia e si rivolse disperata alla madre di una sua amica affinché intercedesse presso il capo delle SS a Torino per garantirmi qualche forma di protezione.