Il venerdì scorso, migliaia di siriani si sono radunati nella storica moschea degli Omayyadi a Damasco per la preghiera settimanale, in attesa di Abu Mohammad al Jolani, il leader dei ribelli islamisti che hanno preso il controllo della città la settimana precedente. L’atmosfera era densa di tensione e speranza, con uomini, donne e bambini che affollavano l’edificio sacro, creando uno spettacolo insolito per la capitale siriana. Alcuni presenti hanno sventolato la bandiera dell’indipendenza siriana, simbolo dell’opposizione sin dagli albori della rivolta del 2011, mentre altri intonavano cori patriottici come “Uno, uno, uno, il popolo siriano è uno”.Nel frattempo, sui social media circolavano immagini di festeggiamenti che si svolgevano anche in altre città della Siria come Aleppo e Sweida, nel sud del paese vicino al confine con la Giordania. La notizia della presenza di al Jolani alla preghiera del venerdì aveva suscitato un’ondata di entusiasmo tra i sostenitori dei ribelli islamisti e tra coloro che speravano in un cambiamento positivo per il Paese martoriato dalla guerra civile.L’unità e la determinazione del popolo siriano erano evidenti in quei momenti di celebrazione e preghiera condivisa, mentre le speranze di un futuro migliore si facevano sempre più forti. La presenza delle bandiere dell’indipendenza e i canti patriottici risuonavano nell’aria carica di emozioni contrastanti: la paura per ciò che potrebbe ancora accadere ma anche la fiducia nelle proprie forze e nella volontà di resistere.In un contesto così complesso e travagliato come quello siriano, ogni gesto di solidarietà e ogni segno di unità assumeva un significato profondo e rappresentava una piccola vittoria contro le divisioni e le violenze che avevano dilaniato il Paese per anni. Mentre i riflettori erano puntati sulla moschea degli Omayyadi a Damasco quella mattina, in molte altre parti della Siria si celebrava lo stesso sentimento di speranza e desiderio di pace duratura.
“Siria: speranza e unità nel giorno della preghiera”
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