A dieci anni dalla tragica strage del Bataclan, Venezia ha tributato un commosso omaggio a Valeria Solesin, giovane ricercatrice veneziana strappata alla vita in quell’attentato parigino che lasciò 89 vittime.
La cerimonia, officiata all’ingresso del campus universitario di San Giobbe, presso il ponte che ne perpetua la memoria, ha rappresentato un momento di riflessione profonda, un invito a non dimenticare e un monito per il futuro.
Oltre ai rappresentanti delle forze dell’ordine e dell’amministrazione comunale, alla solenne commemorazione hanno presenziato il sindaco Luigi Brugnaro, Dario Solesin, fratello della giovane, Marie-Christine Jamet, console onoraria della Repubblica Francese, e Elti Cattaruzza, prorettore per il Diritto allo studio dell’Università Ca’ Foscari.
Il sindaco Brugnaro ha espresso con forza l’importanza di Venezia come baluardo di pace e dialogo in un’epoca segnata da conflitti latenti, escalation di violenza e la recrudescenza di ideologie intolleranti.
Il ricordo di Valeria, ha affermato, non è solo un atto di pietà, ma un imperativo morale: un’affermazione inequivocabile della resilienza dei valori che fondano la convivenza civile, la difesa intransigente delle libertà individuali e collettive, e la necessità di superare le divisioni che alimentano l’odio.
Il terrorismo, la guerra, sono tentativi vili e inaccettabili di soffocare lo spirito umano, di negare la speranza di un futuro migliore, e Venezia deve continuare a contrastarli con fermezza e coraggio, promuovendo l’incontro tra culture e la comprensione reciproca.
Dario Solesin, portavoce della famiglia, ha sottolineato l’urgenza di mantenere viva la memoria di Valeria come antidoto alla ripetizione di simili tragedie.
Un sentimento di amarezza e profonda delusione traspare dalle sue parole: nonostante la gravità degli eventi che hanno sconvolto il mondo, sembra che la lezione non sia stata pienamente appresa.
L’auspicio di un progresso concreto verso una maggiore comprensione tra i popoli, espresso con fiducia dopo il 2015, si è scontrato con una realtà fatta di persistenti tensioni e rinnovate manifestazioni di intolleranza.
Questa constatazione amara evidenzia una sfida globale: quella di trasformare il dolore e la perdita in un motore di cambiamento positivo, capace di costruire ponti e abbattere muri.
Il rito finale, intriso di simbolismo, ha visto la deposizione di una corona di girasoli, i fiori preferiti di Valeria, sul ponte che le è dedicato.
Un gesto semplice ma potente, capace di evocare la sua vitalità, la sua passione per la conoscenza e la sua vicinanza al mondo francofono, un aspetto spesso trascurato, ma cruciale per comprendere la sua storia e il suo impegno.
Il girasole, con il suo sguardo rivolto al sole, incarna la speranza di un futuro luminoso, un futuro in cui il ricordo di Valeria continui a ispirare azioni concrete per un mondo più giusto e pacifico.
La sua eredità non è solo quella di una vittima innocente, ma di una giovane donna che ha vissuto e amato la conoscenza, e che continua, anche dalla sua assenza, a sollecitare un impegno incessante per la pace e la giustizia.







