Chievo, delitto perfetto: Campedelli torna a parlare e rivela il suo dolore.

Il Chievo Verona.

Un nome che evoca non solo un’entità calcistica, ma un’anomalia, un’eccezione nel panorama del calcio italiano, un’affermazione di resilienza e identità profondamente radicata nel territorio.
La sua storia, un intreccio di ambizioni, successi inattesi e un tragico declino, si configura come una parabola emblematica delle fragilità di un sistema spesso incline all’omologazione e alla corruzione.
Nata dall’iniziativa di una comunità e da una famiglia che ne ha incarnato i valori, la società gialloblù ha sfidato le consolidate gerarchie, irrompendo con forza nel massimo campionato e sfiorando l’accesso all’Europa.

Per quasi tre decenni, la figura centrale di questa straordinaria avventura è stata quella di Luca Campedelli.

A soli ventitré anni, si è trovato a guidare una realtà destinata a diventare un esempio di gestione oculata e di profonda identificazione con la propria base di tifosi.
Il recente evento, segnato dall’uscita del libro “Chievo, delitto perfetto” di Raffaele Tomelleri e Fabiana Della Valle, ha offerto a Campedelli l’opportunità di riemergere e offrire la sua prospettiva, a distanza di anni dal fallimento che ha cancellato il club dai professionisti.
La presentazione del libro, tenutasi a Verona in una libreria Feltrinelli affollata, ha visto la partecipazione di figure storiche del Chievo, come Rolando Maran, Marco Pacione, Andrea Mantovani e Matteo Gianello, creando un’atmosfera carica di ricordi e di malinconia.

Il momento più toccante è stata la confessione di Campedelli: una rivelazione disarmante che ha gettato luce sulla portata del dolore e della sofferenza interiore, tanto da farlo considerare il suicidio.

“Chievo, delitto perfetto” non si limita a celebrare l’ascesa del club, i traguardi inattesi e i periodi trascorsi nella Serie A e nelle vicinanze della Champions League.

Il libro indaga anche il crollo improvviso, la sensazione di essere stati abbandonati a loro stessi, una solitudine che Campedelli ha denunciato con determinazione: “Volevo raccontare la mia verità, che non è quella che vi hanno detto”.
Questa affermazione allude alle critiche affrettate e spesso ingiuste che hanno accompagnato il club negli ultimi anni.

L’ex presidente ritiene che una narrazione distorta abbia offuscato decenni di gestione responsabile e improntata alla correttezza.
Campedelli ha sottolineato che la sua intenzione non era quella di riaprire vecchie ferite, ma di contrastare una visione parziale e superficiale.

Ha ribadito la necessità di raccontare la storia del Chievo nella sua interezza, con i suoi protagonisti, i suoi successi e, inevitabilmente, i suoi errori, senza edulcorazioni o omissioni.
Si tratta di un’eredità da tutelare e da tramandare, un monito contro l’avidità e l’opportunismo che troppo spesso minano le fondamenta del calcio moderno.
Il Chievo, dunque, non è solo una squadra scomparsa, ma un simbolo di valori che meritano di essere ricordati e difesi.

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