La biografia di Insaf Dimassi incarna una riflessione profonda sull’appartenenza, l’identità e le fragilità del sistema di cittadinanza italiano. Nata in Tunisia e cresciuta in Italia fin dai nove mesi, la giovane donna si è trovata a confrontarsi, al raggiungimento della maggiore età, con una scelta cruciale: accelerare l’iter burocratico per ottenere la cittadinanza o investire nel proprio percorso di studi. La decisione, presa dopo un’attenta ponderazione, l’ha portata a optare per la formazione accademica, rimandando la richiesta di cittadinanza.La sua storia, raccontata in occasione di un evento dedicato ai referendum sulla cittadinanza, offre uno spaccato emblematico delle disparità che caratterizzano l’accesso alla cittadinanza, un diritto che dovrebbe essere universalmente garantito ma che, nella pratica, è spesso condizionato da fattori economici, legali e familiari. L’esperienza del padre, muratore emigrato dalla Tunisia, che ha potuto ottenere la cittadinanza solo dopo anni di lavoro e tassazione, contrasta con la sua esclusione, dovuta al temporaneo superamento della soglia di età per la trasmissione *jure sanguinis*. Questa peculiarità legale l’ha posta in una condizione paradossale: l’unica membro della sua famiglia a non essere pienamente riconosciuta come cittadina italiana, nonostante abbia vissuto e contribuito al Paese per quasi tre decenni.L’ulteriore complicazione derivante dal divorzio dei genitori ha aggravato la situazione, rendendo ancora più difficile il raggiungimento del requisito economico necessario per l’ottenimento della cittadinanza *iure matrimonio*. Questo ha amplificato la sua percezione di essere sospesa tra due mondi, figlia di due culture, ma pienamente appartenente né a una né all’altra. Insaf, oggi dottoranda in scienze politiche e aspirante accademica, incarna una generazione di giovani cresciuti in Italia, profondamente legati al Paese, ma esclusi dalla partecipazione democratica. La sua esperienza mette in luce la disuguaglianza nell’accesso ai diritti civili e politici, creando una frattura tra “cittadini di serie A”, che possono dare per scontato il diritto di voto e di partecipazione, e “cittadini di serie B”, costretti a vivere in una condizione di precarietà giuridica. La sua capacità di navigare tra arabo, francese e italiano, con un accento che la connette a entrambe le sue eredità culturali, è fonte di orgoglio e di ironia. La presa in giro affettuosa della nonna tunisina, che la invita a “tornare in Italia” o a “tornare nel tuo paese”, sottolinea la sua condizione liminale, la sua identità ibrida, la sua costante negoziazione tra due appartenenze. La sua storia non è solo una biografia personale, ma un invito a riflettere sulle politiche migratorie e sull’inclusione sociale, un appello a garantire a tutti i giovani come lei la possibilità di sentirsi pienamente parte della comunità italiana, senza dover scegliere tra identità e appartenenza. La sua esperienza mette in luce la necessità di un dibattito più ampio e inclusivo sulla cittadinanza, un diritto che dovrebbe essere un ponte, non un ostacolo, all’integrazione e alla partecipazione democratica.