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Sciacca: il Mediterraneo svuota, un’eredità secolare affonda

Sciacca: il Mediterraneo si svuota, un’eredità secolare affonda nel silenzioIl porto di Sciacca, un tempo vibrante cuore pulsante dell’economia agrigentina, oggi risuona con l’eco di un’angoscia crescente.

Secondo porto peschereccio siciliano, dopo Mazara del Vallo, si trova sull’orlo di una crisi esistenziale, testimoniando un fenomeno che affligge l’intera costa meridionale della Sicilia, estendendosi fino a Lampedusa.
La pesca, attività radicata nella storia e nell’identità di Sciacca da secoli, è in rapido declino, minacciando il sostentamento di una comunità intera e un patrimonio culturale inestimabile.

La carenza di risorse ittiche è drammatica.
Stefano Soldano, armatore di una delle imbarcazioni specializzate nella pesca volante a coppie, descrive una realtà desolante: “Andiamo in mare con la speranza, ma torniamo spesso con le mani vuote.

A volte, la rete racchiude solo esemplari troppo giovani, non idonei alla commercializzazione, perpetuando un ciclo di frustrazione e perdite economiche.
” La pesca, un tempo fonte di orgoglio e sostentamento, si è trasformata in un onere finanziario insostenibile.
Il settore, composto da 120 imbarcazioni, la maggior parte impegnate nella pesca a strascico, impiega un migliaio di persone tra diretto e indotto.
La cooperativa Madonna del Soccorso stima un contributo di almeno 20 milioni di euro all’anno al Prodotto Interno Lordo cittadino, una cifra che rischia di evaporare se la situazione non si inverte.
L’appello per il riconoscimento dello stato di calamità naturale, avanzato attraverso le tre cooperative locali, è un grido d’allarme, un tentativo disperato di ottenere un sostegno concreto.
Antonino Ciancimino, altro armatore, esprime un sentimento diffuso: “I costi operativi – carburante, equipaggio – superano di gran lunga i ricavi.
È diventato più oneroso andare a pescare che restare a terra.
” La prospettiva di rottamare le imbarcazioni, anche senza i contributi europei previsti, si fa sempre più concreta, un atto di resa che segna la fine di un’epoca.

L’Unione Europea, paradossalmente, è percepita come un ostacolo, con zone di mare al largo di Sciacca chiuse per favorire il ripopolamento ittico, escludendo i pescherecci da aree potenzialmente produttive.
Calogero Graffeo denuncia l’assenza di un approccio equo, in contrasto con le iniziative di sostegno attuate in altre regioni costiere italiane.

La sensazione di essere abbandonati acuisce la frustrazione e l’amarezza.

Salvatore Bivona, pescatore in pensione, riflette con malinconia: “Un tempo, il lavoro in mare, pur faticoso, ci dava soddisfazione economica.
Ora, mi addolora vedere come questo mestiere, un tempo simbolo della nostra identità, perda progressivamente il suo significato”.
La crisi non colpisce solo gli attivi, ma erode anche il futuro.

I giovani, scoraggiati dalle prospettive di guadagno e dalle difficoltà incontrate, abbandonano il settore per dedicarsi all’agricoltura, all’edilizia o emigrare al Nord Italia alla ricerca di stabilità e reddito garantito.

Questo esodo di competenze e di forza lavoro accelera il processo di decadenza, compromettendo la capacità di ripresa e la trasmissione del sapere tradizionale.
La perdita di questa eredità culturale, le tecniche di pesca tramandate di padre in figlio, le storie del mare, rappresenta una ferita profonda per l’intera comunità.
L’acqua salata del Mediterraneo sembra così aver cominciato a corrodere le fondamenta di un’identità secolare.

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