La Mostra del Cinema di Venezia si preannuncia un crogiolo di narrazioni complesse, intrecciando biografie, poteri, fede e memoria collettiva.
Tra le opere in cartellone, un filo conduttore sembra tracciare l’esplorazione dei meccanismi di influenza, della responsabilità del potere e della redenzione personale, a volte attraverso la lente del mito e della ricostruzione storica.
Il dibattito sulla leadership e la manipolazione del consenso è incarnato da “The Wizard of the Kremlin” di Olivier Assayas.
Il film, ispirato al romanzo di Giuliano da Empoli e plasmato dalla prospettiva di uno spin doctor – interpretato in modo evocativo da Paul Dano, figura che ricorda l’ex consigliere Vladislav Surkov – offre un affresco, quasi una “rilettura cinematografica”, dell’ascesa al potere di Vladimir Putin.
Jude Law, nel ruolo del futuro zar, incarna le ambiguità e i compromessi che caratterizzano l’esercizio del potere, sollevando interrogativi sulla natura stessa della leadership e la sua rappresentazione mediatica.
La riflessione sul peso delle decisioni e il fardello della responsabilità continua con “La grazia” di Paolo Sorrentino, un nuovo capitolo della prolifica collaborazione con Toni Servillo.
Ambientato in un immaginario scenario politico italiano, il film, presentato in concorso, pone al centro un Presidente della Repubblica uscente, interpretato da Servillo, di fronte a due petizioni di grazia che lo costringono a confrontarsi con dilemmi morali di portata inaudita.
La trama, avvolta nel riserverato segreto tipico del regista, si preannuncia come un’indagine profonda sulla complessità del perdono e la difficoltà di navigare tra il diritto e la giustizia, il potere e la coscienza.
La sfera religiosa e la ricerca di trascendenza sono al centro di “Mother”, diretto dalla macedone Teona Strugar Mitevska, che apre la sezione Orizzonti.
Il film, con Noomi Rapace nei panni di una giovane Teresa di Calcutta, non intende offrire una biografia esaustiva, ma piuttosto catturare un momento cruciale, una settimana di transizione nella vita della santa prima che la sua immagine si cristallizzasse nel simbolo universalmente riconosciuto.
L’opera, attraverso la recitazione intensa di Rapace, mira a svelare la fragilità e l’umanità dietro la figura iconica, sondando le radici spirituali di una missione straordinaria.
Un approccio originale e sperimentale caratterizza “The Testament of Ann Lee” di Mona Fastvold.
Il film, un ibrido tra fiaba epica, dramma storico e musical, narra la storia di Ann Lee, fondatrice del movimento degli Shakers, un gruppo di quaccheri radicali.
Amanda Seyfried interpreta Lee, considerata dai suoi seguaci come un’incarnazione femminile di Cristo, e il film esplora le dinamiche del carisma, della fede e del potere attraverso un linguaggio visivo suggestivo e una colonna sonora evocativa.
Infine, “My Father and Qaddafi”, un documentario presentato fuori concorso, offre uno sguardo intimo e doloroso sulla storia personale di Jihan K, una regista libica che ripercorre le circostanze misteriose della scomparsa del padre, un politico dissidente che si oppose al regime di Gheddafi.
Il film, allo stesso tempo autobiografico e sociale, offre una riflessione sulla repressione politica, le complicità silenziose e il coraggio necessario per affrontare la verità, intrecciando il destino individuale con le vicende tumultuose di una nazione.
La scomparsa del padre si rivela un simbolo potente della perdita di libertà e della fragilità dei diritti umani in contesti autoritari.